Celebrazione "in Coena Domini" alla Christiana Fraternitas
- Christiana Fraternitas
- 18 apr
- Tempo di lettura: 6 min
"Attraverso i verbi del vangelo che oggi ci è stato dato da ascoltate abbiamo capito che: il discrimine per appartenere alla comunità di Gesù sta nella disponibilità a fare della propria vita uno stile di amore e di servizio, nella prontezza a custodire addosso quel grembiule dal quale neppure il Maestro – nell’ora suprema e decisiva della sua vita sulla terra – si è voluto mai separare". Sono le parole conclusive dell'omelia pronuncita dall'Abate Perrella per la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola in Coena Domini.
Anche alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella "Santi benedetto e Scolastica" di Abbey House, giovedì 17 aprile 2025 si è dato inizio al triduo pasquale con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola, la commemorazione della Cena del Signore e la lavanda dei piedi moderata dal nostro Abate dom Antonio Perrella.

Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
Testi di riferimento Gv 13;14

Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche,
oggi entriamo nei giorni santi della nostra redenzione, nei giorni solenni del nostro riscatto, nei giorni benedetti della nostra rinascita.
Il giovedì santo, con la memoria del dono dell’eucaristia e del comandamento della carità reciproca, è il giorno dell’amore. Che questo sia il contenuto fondamentale di questo primo giorno del triduo ce lo ha mostrato chiaramente il primo versetto del vangelo di oggi, tratto dal capitolo 13 di Giovanni. Prima di entrare con il versetto 2 nella descrizione della narrazione della cena e del segno compiuto da Gesù, l’evangelista premette il versetto 1 che sembra essere una introduzione non soltanto al capitolo 13 ma a tutto ciò che seguirà, dice: Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
È evidente che una tale introduzione non può riferirsi soltanto al segno del lavare i piedi, ma deve necessariamente riferirsi al dono dell’amore sino alla fine. Se è vero che questo versetto funge da introduzione a tutta la sezione seguente del vangelo di Giovanni, è altrettanto vero che ci serve a comprendere il testo che abbiamo appena ascoltato.
Conosciamo bene il fatto della lavanda dei piedi: è stata così determinante per la comprensione della persona e del ministero di Gesù che è diventato uno dei riti che caratterizzano il triduo pasquale. Tuttavia, non sempre è compreso in tutta la sua portata.
Gli esegeti sono abbastanza concordi nel dire che i capitoli 13 e 14 di Giovanni sono i capitoli in cui Gesù, prima di morire, fonda definitivamente la sua comunità, quelli che nel quarto vangelo sono chiamati «i suoi».
La fondazione della sua comunità è raccontata da Giovanni in una sequenza narrativa davvero interessante: la lavanda dei piedi, le resistenze di Pietro e l’accettazione a farsi lavare i piedi dal Maestro, l’uscita di Giuda che non può far parte della comunità perché non entra in comunione di vita e di intenti con il Maestro, dopo l’uscita di Giuda seguono una serie di insegnamenti sull’amore che sarà il fondamento della nuova comunità: l’amore verso il Padre, l’amore per Gesù, centro da cui promana la vita, l’amore verso i fratelli.
Alla fine, il gesto della lavanda dei piedi è solo l’inizio simbolico di questo atto fondativo, costitutivo della nuova comunità.
Ma cosa vuol dire amare? Oggi tutti parlano di amore, ma alla fine quanti lo vivono veramente?
Le azioni che Gesù compie ci descrivono bene cosa voglia dire veramente amare. Guardiamo allora i verbi che caratterizzano questa pagina evangelica.
Gesù si alza: prende l’iniziativa, non attende che qualcuno gli chieda qualcosa. È lui a fare il primo passo e la prima mossa; e non gli importa se comprenderanno subito o fraintenderanno ciò che sta per fare. L’amore è quello di chi prende iniziativa. Tante volte attendiamo che qualcuno ci chieda un aiuto; magari abbiamo intuito il bisogno o avevamo gli elementi necessari a comprendere la situazione, eppure siamo rimasti fermi. L’amore non attende di essere interpellato, l’amore vero prende l’iniziativa.
Poi, depone la veste: questo è uno dei tratti caratteristici dell’amore di Gesù. Spogliò sé stesso (Fil 2,6) dirà l’apostolo per sintetizzare l’annullamento, lo svuotamento di sé compiuto dal Figlio di Dio. L’amore si mette a nudo, l’amore mette a nudo. Sì, l’amore rende vulnerabili perché espone al rifiuto, perché proietta il senso della mia esistenza su qualcun altro che non sia io. L’amore è allo-centrico non ego-centrico. L’amore accetta di essere spogliato, cioè accetta di spendersi e di spendere. Non esiste un amore autotutela, un amore che non sia disposto ad esborsi di tempo, di creatività, di fantasia, di denaro e di ogni dimensione della propria persona. L’amore non può essere conservativo, l’amore è sublimemente oblativo.
Ancora: si cinse di un panno: significa indossare l’abito del servizio, cioè predisporsi ad uno stile costante di servizio. Per dire di amare non è sufficiente fare un’azione ogni tanto, un’opera qua e là di bene. Per poter dire di amare bisogna assumere un habitus di amore e di dono. È interessante che i verbi utilizzati nei versetti 4 e 12 per indicare il togliere la veste per poi riprenderla sono gli stessi utilizzati in Gv 10,17 laddove Gesù dice di avere il potere di consegnare la sua vita per poi riprenderla di nuovo. In questo atto della svestizione e della successiva vestizione sono come prefigurate la sua morte e la sua risurrezione. L’amore richiede la morte a sé stessi, per aprirsi alla vita altrui: e questa è già risurrezione.
La minuziosa descrizione che Giovanni fa delle azioni compiute da Gesù, così descritte con verbi selezionati con cura, ci fa comprendere che nelle intenzioni dell’autore questa scena doveva essere narrata in modo tale da rimanere bene impressa nei lettori e negli ascoltatori. Evidentemente ci troviamo dinanzi ad uno di quei testi che sin dall’inizio nella comunità cristiana dovevano essere stati compresi come – appunto - fondativi e rivelativi della essenzialità del messaggio cristiano e della esistenza cristiana.
E che l’insegnamento dato da Gesù sia decisivo e debba rimanere decisivo per «i suoi» lo dimostra proprio la risposta che egli darà a Pietro che come al solito è riottoso e non vuole inizialmente accogliere la prospettiva del Maestro: «se non ti laverò i piedi non avrai parte con me». Bisogna che scendiamo in fondo alla obiezione di Pietro: egli non vuole che il Signore compia un gesto da servo. Apparentemente sta difendendo la posizione di Gesù ma – a ben guardare – difende anche la sua. Infatti, se impedisce a Gesù di compiere il gesto del servo, non sarà obbligato ad imitarlo. Ma sarà proprio necessario imitarlo, perché con quel gesto Gesù sta dando forma ad una comunità che non si baserà più sulle disuguaglianze, ma sulle uguaglianze, una comunità in cui la grandezza sarà misurata dalla disponibilità a farsi piccoli e servi, una comunità nella quale gli schemi classici non avranno più diritto di cittadinanza. Pietro dovrà cedere se vorrà avere parte, se vorrà cioè appartenere alla comunità di colui che chiama Maestro e Signore.
Ed è esattamente a questa novità intima della comunità dei suoi che si opporrà il Nemico a cui faceva riferimento il testo all’inizio: il diavolo (l’oppositore, il nemico) aveva già posto in animo a Giuda di Simone Iscariota di tradirlo. L’opposizione non arriverà solo dal tradimento di Giuda, ma anche dal rifiuto di Pietro. Sempre il male si oppone alla civiltà dell’amore instaurata dal Vangelo di Gesù.
Ma Gesù compirà un gesto, che è nascosto nel testo, a cui di solito non si fa attenzione. Abbiamo detto che Giovanni descrive minuziosamente la successione degli atti compiuti da Gesù. Egli dice che si alza, si toglie la veste (o mantello o sopravveste), si cinge di un panno (o grembiule), lava i piedi dei discepoli, ha il dialogo chiarificatore con Pietro. Poi al v. 12 dice che dopo aver lavato loro i piedi, riprese la sua veste. Non dice che toglie il grembiule. Può trattarsi di una dimenticanza? L’Autore può averlo dato per scontato? Né l’una né l’altro! Troppo attento il testo alle singole azioni per essere scivolato su quest’unico punto. Dobbiamo piuttosto ritenere che Gesù abbia volutamente mantenuto quel grembiule per dare evidenza plastica al discorso, alla istruzione nella quale insegnerà ai suoi discepoli che quello che ha fatto lui dovranno farlo anche loro. Non a caso sarà dopo questo discorso che egli annuncerà il tradimento di Giuda che uscirà dalla sala: è troppo per lui la logica del Maestro ed abbandona la nuova comunità, in cui la legge dell’amore e del servizio reciproco, la logica dell’essere tutti uguali è stata ormai definitivamente affermata.
Cari fratelli e sorelle, attraverso i verbi del vangelo che oggi ci è stato dato da ascoltate abbiamo capito che: il discrimine per appartenere alla comunità di Gesù sta nella disponibilità a fare della propria vita uno stile di amore e di servizio, nella prontezza a custodire addosso quel grembiule dal quale neppure il Maestro – nell’ora suprema e decisiva della sua vita sulla terra – si è voluto mai separare. Amen.
dom Antonio Perrella +
Dopo la Celebrazione si è tenuta una veglia di preghiera con Gesù nel Getsemani.
Qui sotto il video della omelia.

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