Solennità delle Opere di Dio in San Benedetto da Norcia alla Christiana Fraternitas
- Christiana Fraternitas
- 12 lug
- Tempo di lettura: 9 min
"La Regola nasce in un tempo fragile, quello delle così dette «invasioni barbariche» e del crollo dell’Impero Romano d’Occidente. È un’epoca di smarrimento e di violenza. San Benedetto non fugge però dal mondo, ma costruisce un rifugio per l’umano, una scuola del servizio del Signore, come egli stesso la definisce. Là dove regnano la forza e la paura, Benedetto fonda un ordine interiore: fatto di preghiera, di lavoro, di obbedienza, di stabilità, di umiltà. Ma soprattutto: di ascolto del cuore. Perché, dice il Prologo, «è tempo di svegliarci dal sonno».". Sono alcune parole della predicazione che l'Abate dom Antonio Perrella ha tenuto per la solenità del Patrono d'Europa.

Giovedì 10 luglio 2025 si sono avuti due giorni di grazia alla Christiana Fraternitas per la Solennità delle Opere di Dio in San Benedetto da Norcia. La festa si è aperta con la Celebrazione Capitolare Ecumenica dei primi vespri alle ore 17.30 presso la Cappella Santi Benedetto e Scolastica.
A seguire c'è stato un ristoro per i fedeli accorsi i quali hanno potuto anche fermarsi a visitare il mercatino eco-solidale organizzato per la raccolta fondi a sostegno della Comunità.
Alle ore 21 presso la Cappella è stato proiettato un docufilm sulla vita del Santo che ha visto la partecipazione di molti. È stato un momento in cui la Christiana Fraternitas oltre che a far scoprire e riscoprire la vita di Benedetto da Norcia ha potuto anche veicolare quanto le sue opere interessino la nostra cultura e civiltà odierne.
Testo integrale dell'omelia del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
in occasione dei primi vespri della Solennità di San Benedetto 2025
Testi di riferimento
Romani 12,9-13
«La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda.Non siate pigri nello zelo;
siate ferventi nello spirito,s ervite il Signore.Siate lieti nella speranza,
forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.Condividete le necessità
dei santi; siate premurosi nell’ospitalità.»
Regola, Cap. 72
«Come vi è uno zelo cattivo e amaro, che separa da Dio e conduce all’inferno,
così vi è uno zelo buono, che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. Questo è lo zelo che i monaci devono esercitare con ardente carità:si prevengano
l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le reciproche infermità, gareggino nell’obbedirsi a vicenda; nessuno cerchi ciò che giudica utile
a sé, ma piuttosto ciò che lo è per gli altri; pratichino la carità fraterna con cuore casto; temano Dio con amore; non antepongano nulla a Cristo,
il quale ci conduca tutti insieme alla vita eterna»

Fratelli e sorelle, amici ed amiche,
nella quiete del vespro, in questa vigilia di San Benedetto, vogliamo lasciarci ispirare non tanto da una pagina “famosa” della sua Regola, quanto da un piccolo tesoro nascosto, che si trova quasi alla fine del testo: il capitolo 72, intitolato «Del buon zelo che i monaci devono avere».
In poche righe, Benedetto disegna il volto spirituale della comunità cristiana così come lui la sogna, la spera e la serve: una fraternità fatta non di perfezione, ma di carità operosa, di rispetto reciproco, di attenzione all’altro, di amore per Cristo che supera tutto.
Abbiamo accostato a questo brano la lettera ai Romani, dove Paolo scrive: «La carità non sia ipocrita… amatevi con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda». È quasi lo stesso lessico che usa Benedetto, come se tra il grande monaco del VI secolo e l’Apostolo delle genti ci fosse una consonanza spirituale profonda.
Ma che cos’è questo “zelo” di cui parla Benedetto? Lo zelo, per come lo intendiamo oggi, può suonare come qualcosa di aggressivo, impaziente, perfino fanatico. Ma il monaco sa che lo zelo ha due volti: uno cattivo e uno buono.
Scrive infatti: «Vi è uno zelo cattivo e amaro, che separa da Dio e conduce all’inferno, così vi è uno zelo buono, che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna».
Il monaco e teologo Adalbert de Vogüé, uno dei massimi studiosi della Regola, commenta questo passo dicendo che «lo zelo buono è il fuoco della carità, un fuoco che non divora ma illumina e riscalda, che unisce invece di distruggere». È un amore che si fa concreto: non solo un sentimento, ma un insieme di azioni, atteggiamenti, abitudini interiori.
Ecco allora le espressioni straordinarie che Benedetto propone: «si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza le reciproche infermità, gareggino nell’obbedirsi a vicenda...». Parole che oggi potrebbero sembrare ingenue, forse irrealistiche. Ma che, se accolte seriamente, costruiscono una Chiesa diversa: non una Chiesa delle divisioni, delle correnti, dei sospetti; ma una Chiesa della pazienza reciproca, della stima, del perdono, della tenerezza.
Il commentatore francese Jean Leclercq, grande studioso della spiritualità monastica, affermava che «la Regola è una scuola di carità quotidiana, dove si impara non a fuggire il mondo, ma a trasfigurarlo dall’interno».
E questo vale per tutti. Perché la Regola non è solo per chi vive in un monastero. Benedetto non fonda un'élite, ma offre una via del Vangelo praticabile da ogni cristiano. Nella famiglia, nei luoghi di lavoro, nelle comunità e nelle nostre relazioni ferite, abbiamo bisogno di zelo buono, di carità che edifica, di pazienza che sopporta, di onore che si dona.
È questo il tratto davvero rivoluzionario del capitolo 72: la comunità è luogo di santità solo se è luogo di relazioni vere e umane, vissute alla luce di Cristo.
Ecco perché Benedetto conclude con una delle frasi più belle della sua Regola: «Non antepongano nulla a Cristo, il quale ci conduca tutti insieme alla vita eterna».
In questa frase – «tutti insieme» – c’è la visione ecclesiale e comunitaria della santità. Non si arriva alla vita eterna da soli. La via del Vangelo è una via fraterna, condivisa, fatta di mani che si rialzano, di sguardi che incoraggiano, di passi che si fanno insieme.
In un mondo spesso dominato dallo zelo cattivo – quello dell’aggressività verbale, dell’individualismo, della competizione sfrenata – Benedetto ci invita a convertirci al fuoco mite dello zelo buono. Non serve essere monaci per vivere questo. Basta avere un cuore aperto.
È zelo buono: la madre che sopporta con dolcezza le fragilità del figlio; il marito che onora la moglie anche nella fatica; il giovane che costruisce ponti invece di muri; il consacrato o il laico che cercano il bene della comunità, non il proprio ruolo; il malato che prega per gli altri nel nascondimento.
È zelo buono quella carità ordinaria che non fa rumore, ma salva il mondo.
Nel vespro di questa festa, lasciamoci educare da Benedetto: padre della vita comunitaria, maestro dell’umano redento, artigiano della pace. Chiediamo a lui di intercedere perché anche noi, nel nostro piccolo, possiamo coltivare questo zelo buono: che cerca il bene dell’altro prima del proprio, che sa sopportare con amore, che non antepone nulla a Cristo.
Così saremo anche noi – come lui – operatori di pace, artigiani di comunione, pellegrini verso la vita eterna. Insieme. Amen.
Qui sotto qualche foto della prima serata: Docufilm e mercatino eco-solidale
Venerdì 11, Solennità di San Benedetto alle ore 19.30 si è svolta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola con la Commemorazione della Cena del Signore ed a seguire un'agape fraterna e tanto divertimento con il karaoke.
Testo integrale dell'omelia del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
in occasione della Celebrazione della Parola nella
Solennità di San Benedetto 2025
Testi di riferimento
Regola - Prologo, 45-50
«E mentre procediamo nella via dei comandamenti, il nostro cuore si dilaterà e correremo nella via dei precetti di Dio con la indicibile dolcezza dell’amore. Non allontaniamoci mai dall’insegnamento del Signore, ma perseverando nella sua dottrina nel monastero fino alla morte, partecipiamo alle sofferenze di Cristo con la pazienza, per meritare di condividere anche il suo Regno. Amen»
Letture bibliche:Dt 30,11-20; Sal 119 (118),1-8; 2 Corinzi 4,6-11; Gv 14,23-27
Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche,
in questo giorno di festa il nostro sguardo si posa su una figura che non ha solo fondato monasteri, ma ha fondato una civiltà. San Benedetto non ha scritto trattati, non ha conquistato potere, non ha guidato crociate. Eppure, la sua Regola, composta nel silenzio di Montecassino nel VI secolo, ha generato secoli di cultura, di preghiera, di lavoro e di pace. Ha tessuto l’anima dell’Europa. E lo ha fatto con poche parole, umili e sapienziali, capaci di unire l’altezza della teologia e la semplicità della vita quotidiana.
Oggi vogliamo lasciarci guidare da un brano che chiude il Prologo della Regola – quei versetti in cui Benedetto parla di un cuore che si dilata, che corre, che ama, che persevera nella via dei comandamenti con “la dolcezza dell’amore”. «E mentre procediamo nella via dei comandamenti, il nostro cuore si dilaterà e correremo nella via dei precetti di Dio con l’indicibile dolcezza dell’amore». È immagine che richiama il Salmo 119 – «Corro nella via dei tuoi comandamenti perché hai dilatato il mio cuore» – ma anche la promessa di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni: «Vi do la mia pace… non come la dà il mondo».
La Regola nasce in un tempo fragile, quello delle invasioni barbariche e del crollo dell’Impero Romano d’Occidente. È un’epoca di smarrimento e di violenza. Benedetto non fugge dal mondo, ma costruisce un rifugio per l’umano, una scuola del servizio del Signore, come egli stesso la definisce. Là dove regnano la forza e la paura, Benedetto fonda un ordine interiore: fatto di preghiera, di lavoro, di obbedienza, di stabilità, di umiltà. Ma soprattutto: di ascolto del cuore. Perché, dice il Prologo, «è tempo di svegliarci dal sonno».
Il monaco Adalbert de Vogüé ha scritto che proprio nel Prologo Benedetto «non presenta tanto la struttura della vita monastica, quanto il respiro del cuore credente, che si lascia educare dalla parola di Dio con docilità, fino a correre con amore verso la libertà dei figli». E davvero il cuore, in Benedetto, non è sede delle emozioni, ma del discernimento spirituale. Un cuore dilatato è un cuore che non si chiude nella paura, che non si irrigidisce nelle regole, ma che vive nella libertà dell’obbedienza.
In Deuteronomio 30, che abbiamo proclamato come prima lettura, Mosè dice al popolo: «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te… è molto vicino a te, sulla tua bocca e nel tuo cuore, perché tu lo metta in pratica». Anche qui troviamo il binomio decisivo: cuore e parola. L’esegeta André Wénin ha notato che nel Deuteronomio l’obbedienza non è mai cieca, ma sempre frutto di una interiorizzazione: «Dio non impone, ma propone una via che nasce dall’ascolto e si compie nell’alleanza». Così anche nella Regola: il monaco non è un soldato, ma un discepolo in ascolto.
Nel brano della seconda Lettera ai Corinzi, Paolo scrive: «Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo». È la logica pasquale che Benedetto accoglie nella sua Regola: «partecipiamo alle sofferenze di Cristo con la pazienza, per meritare di condividere anche il suo Regno». Il teologo Hans Urs von Balthasar ha scritto che «la pazienza cristiana è partecipazione alla forma pasquale di Cristo, che non si impone ma si dona». La perseveranza, lodata da Benedetto, è una forma di martirio quotidiano, che unisce alla croce e apre alla gloria.
Anche il Vangelo che abbiamo ascoltato ci invita ad abitare questa logica: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola… Vi lascio la pace, vi do la mia pace». Non c’è amore senza parola accolta, e non c’è pace senza amore fedele. Il monaco Enzo Bianchi ha più volte ricordato che «l’amore cristiano è inseparabile dall’ascolto: chi ama ascolta, chi ascolta si lascia trasformare». E così anche il cuore dilatato del Prologo non è un cuore sentimentale, ma un cuore formato dalla Parola, temprato dalla fatica, e sorretto dalla comunità.
In un tempo segnato da individualismo, da spiritualità frammentarie, da instabilità relazionale, Benedetto ci propone una via unitaria e incarnata: quella della perseveranza. Viviamo in un’epoca dove tutto deve essere veloce, efficiente, redditizio. Benedetto ci insegna che la santità si costruisce nei giorni che si assomigliano, nella fedeltà alle piccole cose, nella comunità che si sopporta e si ama. Viviamo in un tempo in cui il cuore si restringe per paura, per ansia, per difesa. Benedetto ci ricorda che solo il cuore dilatato dall’amore può conoscere davvero Dio. Non chi è perfetto, ma chi è aperto. Non chi è forte, ma chi sa restare.
E poi ci interpella come Chiesa: stiamo educando cuori dilatati o solo menti piene? Comunità dove si corre con gioia o dove si trascina per dovere?
Fratelli, sorelle, la Regola non è una legge fredda, ma un canto paziente d’amore. Non è una fuga dal mondo, ma un abbraccio ordinato alla realtà. San Benedetto ci insegna che si possono costruire cattedrali interiori, anche nel silenzio, anche nel chiuso di una piccola cella, anche lavando piatti o zappando la terra, anche restando fedeli al proprio posto. E ci insegna che Dio non ha fretta, ma desidera un cuore che ami.
Oggi, in questa festa, chiediamo il dono di un cuore dilatato, che corra senza paura, che viva la fatica con pazienza, che non si allontani mai dalla Parola, che sia capace di quella dolcezza dell’amore che è segno della presenza del Cristo risorto.
Benedetto, guida il nostro cammino. Insegnaci la libertà della regola, la gioia della perseveranza, la forza della carità nascosta. Amen
Qui sotto il post celebrazione con la serata Karaoke

PAX
UT UNUM SINT

























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