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Celebrazione "in Passione Domini" alla Christiana Fraternitas

  • Christiana Fraternitas
  • 18 apr
  • Tempo di lettura: 7 min

"La vicenda di Gesù ci mostra che il male si diffonde banalmente, stupidamente, quando l’umanità smette di porsi delle domande e quando vengono date risposte non vere, cioè quando viene propinata come risposta una verità che tale non è, ma lo diventa perché affermata da qualcuno che è opinion-leader o, come si direbbe oggi, opinion-maker". Alcune parole dell'Abate dom Antonio per l'omelia della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per il venerdì santo.


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Anche alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" in Lido Azzurro, Taranto, alle ore 14.30 di venerdì 18 aprile 2025, si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola in Passione Domini.



Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro

Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella



Testi di riferimento: Gv 18; 19


Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche,

siamo nel giorno della eloquenza di Dio: Egli, nel silenzio della morte, parla nel modo più chiaro possibile. Ora è sotto gli occhi di tutti chi egli sia veramente. Quello che gli uomini non hanno voluto comprendere attraverso le sue parole ed i suoi segni, ora lo vedono con i loro occhi: solo l’amore – vissuto fino alle estreme conseguenze – è capace di cambiare il mondo.


Nella lettura del Passio abbiamo ascoltato ben due capitoli del vangelo di Giovanni: il 18 ed il 19. Sintetizzare la ricchezza di questi capitoli nello spazio di un’omelia è cosa ardua. Ciò non di meno, è necessario che dedichiamo a questa Parola, che ci è stata donata, l’attenzione che essa merita.

Si tratta di due capitoli che non possono essere letti separatamente. Formano un’unica unità letteraria: la narrazione infatti inizia in un orto, quello dell’arresto (Gv 18,1), e finisce in un altro orto, quello della sepoltura (19, 41). Questo dato è interessante perché l’orto richiama al giardino dell’Eden, dove è nata la vita, dove ha avuto inizio la creazione. In questo modo Giovanni ci sta dicendo che tutto ciò che leggeremo all’interno di questa inclusione (da un orto ad un orto) parla di vita: ci sarà la violenza, ci sarà la morte, ma alla fine tutto parlerà di vita.

Un altro aspetto che unisce questi due capitoli sta nel fatto che in essi Gesù ha sempre degli antagonisti: dapprima Pietro che impugna la spada e si oppone alla sua logica di non violenza e al suo messianismo non trionfante, poi entreranno in scena Anna e Caifa, che tesseranno le trame per la condanna a morte, infine Pilato che proporrà la scelta tra la non violenza (Gesù) e la violenza (Barabba). Ad essi si uniranno i soldati che lo scherniranno e la folla che rifiuterà la logica dell’amore e sceglierà la logica della violenza, chiedendo la liberazione di Barabba. Nei contrasti emergerà la solennità maestosa della grandezza di Gesù che da sconfitto appare il vero vincitore.

Un altro dato interessante di questi due capitoli è che in essi i verbi che si riferiscono a Gesù sono così suddivisi: nel capitolo 18, 3 gruppi di verbi indicano cose che Gesù fa e 5 invece le cose che vengono fatte contro Gesù; nel capitolo 19, un solo gruppo di verbi indica azioni compiute da Gesù e 7 azioni compiute su Gesù. Nei due capitoli Gesù si limita a parlare e rispondere, entrare ed uscire dai luoghi nei quali viene condotto. Per il resto il susseguirsi degli eventi e delle azioni sembra stare nelle mani di altri. Se si confronta questo dato numerico con il testo che abbiamo letto, però, ci accorgiamo di un fatto sorprendente: è vero che Gesù fa sempre di meno e parla sempre di meno man mano che si avvicina la sua morte, eppure egli appare regalmente sovrano di ciò che sta avvenendo, appare Signore degli eventi che non gli piombano addosso ma verso i quali egli va con libertà e determinazione. Sembra che siano gli altri a determinare gli eventi, ma invece è lui a scegliere di seguire gli eventi perché lo portino al compimento della sua missione. Che agisca direttamente o che riceva un’azione, Gesù sta compiendo il disegno di Dio. Non ha bisogno di dichiarare la sua regalità, deve solo compierla perché si compia il disegno del Padre.

Entriamo adesso nell’universo di questi verbi, che stanno guidando le nostre riflessioni in questa Settimana Santa.

I verbi che riguardano le azioni compiute direttamente da Gesù sono per lo più verbi di dialogo: disse, rispose. Gesù cerca il dialogo con tutti. Parla con la turba di persone che è venuta ad arrestarlo, domanda loro chi cercano, parla con Giuda pur sapendo che egli è li per tradirlo, parla con Pietro perché non ceda alla tentazione della violenza, parla con i sommi sacerdoti pur sapendo che useranno le sue parole contro di lui, parla con Pilato sebbene sappia che non avrà il coraggio di opporsi alla folla. Per tutti ha una parola, anche per chi lo percuote. Chiunque entri in contatto con Gesù non potrà dire di essere stato ignorato da lui, di aver ricevuto un silenzio, una disattenzione, un insulto. Per quanto violente, aggressive ed irrazionali saranno le azioni che verranno fatte contro di lui, per quanto false saranno le parole che verranno dette su di lui, verso tutti egli mantiene una pacata attenzione e premura. A ciascuno vuole mostrare la verità che si porta dentro per disvelare dove sia il potere delle tenebre ed il potere della luce. Sembra quasi persuaso, anzi speranzoso che parlando potrà far emergere la verità che si cela nei cuori. In alcuni casi ci riuscirà, nella maggior parte no. Eppure non rinuncerà a sollecitare le persone a guardarsi dentro, a cercare dentro di sé le risposte alle domande. Anzi, farà molto di più: attraverso i suoi dialoghi cercherà di portare gli interlocutori a domandarsi se stanno facendo le domande giuste. A Pilato che gli domanda se egli è il Re dei Giudei, risponderà: «lo dici da te o altri te lo hanno detto sul mio conto?». Che vuol dire: perché me lo chiedi? Vuoi davvero la risposta a questa domanda? Ma sai cosa vuol dire? Sai che significa che io sono Re? Perché tu penserai ad un sovrano umano, sulla base dell’esperienza che hai con il tuo imperatore, ma questo ti porterebbe fuori strada perché «il mio regno non è di questo mondo». Al soldato del sommo sacerdote che lo schiaffeggia rimproverandolo per la risposta, valutata come una mancanza di rispetto, dirà: «se ho sbagliato, dimostrami il mio errore; altrimenti perché mi percuoti?». Questa domanda significa: stai difendendo quest’uomo solo perché ha un ruolo. Ma, se non avesse quel ruolo, le azioni che sta compiendo in questa notte contro un innocente, tu avresti il fegato di difenderle o ti accorgeresti che sono un sopruso? E poi: stai usando la violenza, che è il modo di imporre le idee quando esse non hanno sostanza o valore. Tu perché mi percuoti? Di cosa hai paura? Di scoprire che il tuo capo, che tanto difendi, non è così esente da errori come tu pensi solo perché indossa quei paramenti? Di scoprire che la tua cieca obbedienza ti sta rendendo complice di una ingiustizia e di un vergognoso crimine?

Se, invece, prendiamo in esame i verbi delle azioni contro Gesù o verso Gesù, ci accorgiamo che il quadro lessicale cambia ed aumenta di numero, ma tutto riferito ad un determinato genere di azioni che si racchiudono nell’odio, nel disprezzo, nella violenza: mettere le mani addosso, percuotere, legare, insultare, condurre, consegnare, flagellare, intrecciare una corona, prendere a schiaffi, crocifiggere, dividersi le vesti a sorte.

È il quadro fosco di una serie ripetuta e crescente di azioni di violenza compiute da persone per la maggior parte senza consapevolezza. Sì, il dramma di questa morte del Signore sta qui: la maggior parte di coloro che hanno gridato perché fosse messo a morte non sapevano neppure chi fosse e perché stava lì; la maggior parte delle persone che lo hanno flagellato o crocifisso hanno eseguito ordini senza domandarsi se si trattasse di ordini giusti o meno; quelli che al suo passaggio lo insultano e gli sputano vedono uno caricato del patibolo e quindi ritengono loro diritto insultarlo: se sta lì è un malfattore – pensano – come se non fossero consapevoli che il sistema giudiziario romano tutto era tranne che giusto.

Il male si diffonde banalmente, semplicemente perché manca chi si pone le domande giuste, anzi spesso manca proprio chi si ponga le domande. Poiché i capi ed i modelli sociali predominanti vanno verso una determinata direzione, quella direzione è ciecamente, supinamente e inconsciamente seguita senza fermarsi a riflettere e senza porsi domande: è il male endemico dell’epoca, mai finita, del conformismo.

Il mondo ne ha preso drammaticamente consapevolezza con la vicenda dell’olocausto del popolo ebraico compiuto dai nazisti. Al processo di Norimberga si parlava di male radicale, per indicare che la follia nazista era un male assoluto. Con non poco coraggio una pensatrice e giornalista ebrea – Hannah Arendt – attirandosi le critiche dei suoi connazionali, manifestò una verità ancora più terribile, ma che non fu immediatamente compresa. Scrisse così:

«La lezione che si può trarre nei paesi in cui i crimini nazisti furono pianificati e perpetrati è che il male non è mai ‘radicale’, ma solo estremo, e che non possiede né profondità né dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero precisamente perché si espande come un fungo in superficie. È ‘banale’ perché è pensato e fatto senza pensare» (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, 1963)


Il male è banale perché pensato da chi lo organizza e fatto senza pensare dai tanti che si accodano. Esattamente come emerso nel caso del servo del sommo sacerdote, che si era accodato in difesa di uno che, abusando del suo ruolo, stava perpetrando una orribile ingiustizia. Dietrich Bonhoeffer, pastore luterano tedesco che apertamente si oppose al nazismo, durante la sua prigionia che si concluse con la sua esecuzione, scrisse: «La stupidità è un nemico più pericoloso del male. [...] Contro la stupidità non abbiamo difese. Né proteste né la forza possono fare nulla; le ragioni cadono nel vuoto. [...] La verità è che lo stupido è spesso testardo, e quando viene contraddetto, si sente offeso» (Lettere dal carcere, 1943).

La vicenda di Gesù ci mostra che il male si diffonde banalmente, stupidamente, quando l’umanità smette di porsi delle domande e quando vengono date risposte non vere, cioè quando viene propinata come risposta una verità che tale non è, ma lo diventa perché affermata da qualcuno che è opinion-leader o, come si direbbe oggi, opinion-maker.

L’anestesia del pensiero diventa anestesia della coscienza.

I martiri per la verità di ieri e di oggi, fra i quali il primo è Gesù Cristo stesso, ci insegnano invece che non dobbiamo mai smettere di porci domande e di porre domande, di cercare risposte vere e non accontentarci di quelle che ci vengono date come oppio dell’intelligenza e della consapevolezza.

Il Signore tenga sveglia la nostra intelligenza, vigile la nostra coscienza, ardente il nostro bisogno di cercare la verità. Amen.

dom Antonio Perrella+



Qui sotto il video dell'omelia.


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PAX

UT UNUM SINT

 
 
 

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