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I domenica d'Avvento. Canemus Spem

  • Christiana Fraternitas
  • 4 dic 2023
  • Tempo di lettura: 9 min

Sul Verbum salutis omnium: "Solo chi, nello Spirito, scopre l’esultanza di questa generazione divina del Figlio dal Padre nello Spirito – generazione che ci coinvolge perché in essa siamo inseriti – solo chi fa questa esperienza trova il vero senso del Natale, cioè della nascita di Dio nella carne e dell’uomo nella Divinità". Sono le parole tratte dall'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella che hanno aperto le predicazioni del Tempo d'Avvento alla Christiana Fraternitas sugli inni della liturgia delle ore di Avvento e Natale.


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Sabato 2 dicembre 2023, presso la Cappella monastica ecumenica "Santi Benedetto e Scolastica", si è inaugurato il tempo d'Avvento alla Christiana Fraternitas con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola arricchita dal lucernario tratto dalle "Constitutiones Apostolorum". Ogni settimana d'avvento l'Abate dom Antonio Perrella terrà la predicazione sugli Inni della liturgia delle ore propri di questo tempo forte. Il primo Inno, oggetto della condivisione, è stato Verbum salutis omnium.



Testo integrale della I predicazione sul Verbum salutis omnium

del nostro Rev. mo Abate dom Antonio Perrella


Carissimi Fratelli e sorelle, cari Amici ed Amiche, diamo inizio ad un nuovo Tempo di Avvento, il capodanno dell’anno liturgico. Sappiamo già – perché lo abbiamo ampiamente spiegato e non c’è bisogno di tornarci – che il tempo liturgico dell’Avvento è tempo anzitutto escatologico, tempo cioè dell’attesa e del desiderio vivi ed operosi del Regno di Dio. Colui, che è già venuto nella carne per salvarci, verrà di nuovo nella sua gloria per unirci alla pienezza della sua vita eterna, nella giustizia e nell’amore. Un nuovo Avvento, una nuova venuta di Gesù richiede un uomo nuovo: sì, in questo senso anche il tempo di Avvento è tempo di conversione, come la quaresima, perché è il tempo della scelta seria: vogliamo rimanere sempre gli stessi o vogliamo, finalmente, scegliere per Lui, scegliere Lui? In che modo allora possiamo camminare nella novità di vita, che l’Avvento ci porta a riscoprire? Anche quest’anno ci mettiamo in ascolto in quel ricco patrimonio di sapienza orante che sono gli Inni della Liturgia delle Ore che abbiamo iniziato a conoscere meglio lo scorso anno. Per noi monaci e monache la preghiera liturgica è fonte primaria di nutrimento spirituale non soltanto perché ci mette in relazione con Dio, al quale con il cuore e con la vita innalziamo l’inno della benedizione, ma anche perché quella specifica forma di preghiera ci mette in relazione con tutta la Chiesa. Nella preghiera liturgica delle Ore, infatti, risuonano sulle nostre labbra parole secolari, che racchiudono il tesoro inesauribile della comunità che, nello scorrere del tempo, ha maturato la conoscenza del mistero di Dio e l’ha trasmessa non in una forma discorsiva, come se si dovessero convincere le menti, ma in una forma poetica e musicale, perché piuttosto siano avvinti i cuori. Questa sera lasciamoci guidare dall’Inno dei primi Vespri delle ferie maggiori di Avvento: Verbum salutis omnium. Le notizie storiche su questo Inno sono scarsissime. L’elenco degli Inni, preparato per la riforma della liturgia delle ore, ci indica che esso è di autore ignoto e databile intorno al X secolo. Tuttavia gli Analecta Hymnica non sembrano conoscerlo. Deve trattarsi evidentemente di una composizione tardo-medievale. Come sempre ascoltiamo dapprima il testo completo in una traduzione che si avvicini quanto più possibile all’originale e poi, avendo a mente l’originale, come in una sinossi davanti ai nostri occhi, scandagliamo il significato di quelle parole in cui ci viene trasmessa la sapienza orante della Chiesa.

Verbum salútis ómnium, Patris ab ore pródiens, Virgo beáta, súscipe casto, María, víscere. Te nunc illústrat cælitus umbra fecúndi Spíritus, gestes ut Christum Dóminum, æquálem Patri Fílium. Hæc est sacráti iánua templi seráta iúgiter, soli suprémo Príncipi pandens beáta límina. Olim promíssus vátibus, natus ante lucíferum, quem Gábriel annúntiat, terris descéndit Dóminus. Læténtur simul ángeli, omnes exsúltent pópuli: excélsus venit húmilis salváre quod períerat. Sit, Christe, rex piíssime, tibi Patríque glória cum Spíritu Paráclito, in sempitérna sæcula Amen.

Il Verbo di salvezza per tutti, che esce dalla bocca del Padre, tu, Maria, Vergine beata, accoglilo nel tuo casto grembo. Così [da quel momento] l’ombra dello Spirito fecondo dall’alto ti illumina affinché tu germini Cristo Signore, Figlio uguale al Padre. Questa è la porta del santuario, che era stata ben serrata, e soltanto al Principe supremo ha mostrato i sacri stipiti. Lui, promesso dai profeti, nato prima della stella del mattino, che Gabriele annunzia, scende come Signore sulla terra. Si allietano insieme gli angeli e tutti i popoli esultano: l’Eccelso viene umile a salvare chi era perduto nella morte. Cristo, a te, re piissimo, a te e al Padre la gloria, con lo Spirito Paraclito nei secoli eterni. Amen.


Dalla lettura del testo ci accorgiamo che si tratta di un inno marcatamente mariologico. La prima strofa, infatti, è rivolta esplicitamente alla Madre di Gesù. In realtà non stupisce che questo avvenga, proprio a motivo della struttura del Tempo di Avvento, che ben conosciamo.

Per tre settimane il contenuto teologico e spirituale di questo tempo dell’anno liturgico si concentra sull’attesa escatologica, mentre l’ultima settimana – appunto quella delle cosiddette ferie maggiori o privilegiate – si concentra sulla celebrazione del ricordo della nascita storica del Salvatore. Proprio all’apertura di questa settimana – i primi vespri – la preghiera liturgica della Chiesa si concentra su colei che con il suo ha reso possibile nella storia l’incarnazione del Verbo di Dio.

Tuttavia, il testo stesso ci offre una chiave di lettura della figura di Maria e del suo ruolo nella storia della salvezza e lo fa attraverso la figura letteraria della inclusione. La prima strofa si apre con le parole «Verbum salutis omnium, Patris ab ore prodiens» mentre l’ultima strofa si chiude con le parole «Sit, Christe, rex pissime». Questa inclusione cristologica (cioè il riferimento a Cristo sia in apertura del testo sia nella sua chiusura) ci mostra plasticamente che il ruolo di Maria, nell’evento dell’incarnazione come in tutta la storia di salvezza, va riletto in chiave cristologica: è Cristo il celebrato, è Cristo al centro della scena e dell’evento. Come ho avuto ampiamente modo di spiegare nel libro Maria di Nazareth. Un Vangelo per tutti, la Madre di Gesù in tutta la sua vita ha dovuto vivere la scelta tra l’essere madre e l’essere discepola, cioè tra il naturale istinto di difendere suo figlio, dalle conseguenze che si preparavano per l’annuncio del suo vangelo, e rimanere dietro di Lui, accettando la volontà del Padre. Gesù stesso le ricorderà che il suo non valeva solo per il momento dell’annunciazione ma per tutta la sua vita: Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Mc 3,31; Mt 12,46-50; Lc 8, 19-21). E quanto questo passaggio, questa scelta sia decisiva lo dimostra proprio il fatto che tutti e tre i sinottici abbiano avvertito la necessità di riportare – pur con modeste differenze e sottolineature – quest’episodio e queste parole del Signore.

Rimanendo ancora sulla prima strofa essa sembra rifarsi in modo poetico alla cosiddetta teologia della conceptio per aurem. L’espressione – concepit ex auditu, concepì attraverso l’orecchio, attraverso l’ascolto – si trova per la prima volta in Efrem il Siro (307-373) e potrebbe alludere alla lettera ai Romani 10,17, in cui si legge che la fede nasce dall’ascolto, fides ex auditu. Agostino assumerà questo concetto e lo svilupperà giungendo a dire che Maria è più grande per aver accolto Gesù nella fede che non per averlo generato nella carne.

Anche la seconda strofa, in cui entra in scena lo Spirito Santo, sembra rimarcare la centralità cristologica dell’inno. Infatti, essa comincia con un tunc, che va bene interpretato. Nella prima strofa si dice che Cristo, il Verbo salvatore di tutti, è uscito dalla bocca del Padre (come la Sapienza che esce dalla bocca dell’Altissimo, così cantata dalla prima antifona maggiore) e Maria lo accolto nel suo ventre. Tunc, da allora e per quel motivo, cioè per il fatto che Maria ha accolto il Verbo di Dio nell’obbedienza della fede essa viene adombrata dalla fecondità dello Spirito. L’immagine è potentissima: Maria, come ogni credente, ascolta il verbo che esce dalla bocca del Padre, lo accoglie nella sua vita e per questo è circonfusa dello splendore dello Spirito. C’è, qui, una sintesi della dimensione trinitaria della vita cristiana, raffigurata e concentrata in Maria.

Mi spiego: la persona che ha accolto Gesù lo ha ricevuto come parola di sapienza e di vita dal Padre, che lo ha generato prima di tutti i secoli. L’accoglimento di Gesù fa sì che il credente viva della stessa relazione che esiste tra le persone trinitarie e lo immette nella processione dello Spirito dal Padre al Figlio. In poche parole si sta dicendo che chi, come Maria, accoglie nella fede Gesù è immesso nella stessa vita intratrinitaria di Dio. È generato dal Padre, ad immagine del Figlio e su di lui risplende la potenza dello Spirito. È il natale della vita divina di ciascuno di noi, che siamo stati innestati in Cristo attraverso il battesimo. Io non so se, con le mie parole, riesco a trasmettervi la gioia e l’emozione che del contenuto di quest’inno, di questa verità, di questa realtà che si compie nella nostra vita! Solo chi, nello Spirito, scopre l’esultanza di questa generazione divina del Figlio dal Padre nello Spirito – generazione che ci coinvolge perché in essa siamo inseriti – solo chi fa questa esperienza trova il vero senso del Natale, cioè della nascita di Dio nella carne e dell’uomo nella Divinità. Questo admirabile commercium, questo meraviglioso incontro tra Dio e l’Uomo trova in Gesù la sua sintesi. Per questo motivo, l’inno – anche se ha un incipit mariologico – ora, attraverso la nostra analisi lo scopriamo fortemente cristologico.

Anche il rapporto tra la terza, la quarta e la quinta strofa rafforza la lettura cristocentrica che stiamo proponendo. Rileggiamole:


Questa è la porta del santuario,

che era stata ben serrata,

e soltanto al Principe supremo

ha mostrato i sacri stipiti. Lui, promesso dai profeti, nato prima della stella del mattino,

che Gabriele annunzia,

scende come Signore sulla terra.


Si allietano insieme gli angeli

e tutti i popoli esultano:

l’Eccelso viene umile a salvare

chi era perduto nella morte.


Queste tre strofe sono costruite secondo uno schema ben preciso: enunciazione di un fatto, illustrazione del motivo del fatto (che è anche il centro significante dell’evento) e indicazione dell’effetto del fatto stesso.

Il fatto è cantato nella terza strofa con una immagine poetica elegante ed al tempo stesso plastica: il grembo di Maria è definito porta del santuario, che era stata ben serrata e che ha mostrato i suoi stipiti solo al Principe supremo. È un evidente tributo al concepimento verginale di Gesù nel grembo di Maria. Tuttavia, oltre l’affermazione di un fatto non ci dice niente di più.

La quarta strofa, invece, ci mostra la ragione ed il centro significante del fatto. Il concepimento verginale di Maria non è un privilegio dato a lei, ma è causato dalla specificità del Nascituro: il Principe supremo, nato prima della creazione (prima della stella del mattino), promesso dai profeti ed annunciato da Gabriele. Il cosmo (la stella del mattino) e la storia (i profeti) convergono verso il centro che dà senso al loro esistere ed al loro corso: il Signore che scende sulla terra. A dire il vero, il testo latino, dice che egli discende terris, nelle terre, che spesso nella innografia ha un significato negativo: le terre dell’ombra, della morte. In questo modo l’inno ci sta dicendo che, anche quando il cosmo e la storia sembrano essere dominati dalle tenebre e dalla morte, nulla può comunque impedire al Signore di venire, di discendere. Sembra quasi che l’accostamento tra la generazione eterna del Verbo (prima della stella del mattino) e la sua nascita umana (scende nelle terre) voglia rimarcare il contrasto tra la condizione dell’umanità, dominata dall’oscurità del peccato e della morte, e la novità portata dal figlio di Dio, fatto uomo.

Dinanzi a questa inversione della storia, operata da Dio, il frutto, l’effetto è la gioia, l’esultanza. Dio trasforma il lutto in gioia, le lacrime in sorriso (cf Sal 126). Infatti olim, insieme, contemporaneamente si allietano gli angeli ed esultano tutti i popoli. Siamo alla quinta strofa, nella quale sembra intravvedersi già la celebrazione della veglia di Natale: mentre il mondo è avvolto dalle tenebre della notte, un canto di esultanza angelico irrompe nel buio ed annuncia a tutti i popoli: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini da lui amati. Vi annunziamo una grande gioia: Oggi è nato per voi il Salvatore (cf Lc 2, 9-14).


Questo misterioso inno, senza autore certo, senza datazione sicura, alla fine si rivela una perla preziosa per la teologia e la spiritualità.

Dal punto di vista teologico, ci ricorda – ancora una volta – che ogni discorso mariologico, per essere sensato, deve essere cristocentrico.

Dal punto di vista spirituale ci fa recuperare il contenuto vero della speranza cristiana, che è lo stesso Gesù Cristo il quale stravolge il corso del cosmo e della storia, li sottrae al potere delle tenebre e – con la sua Parola senza tempo – li irradia della luce della salvezza a tutti i popoli. Questa salvezza è data, è offerta a chiunque, senza esclusione alcuna. Infatti, nella prima strofa si dice che il Verbo è per la salvezza di tutti (omnium) e nella quinta si dice che tutti i popoli (omnes populi) si allietano.

La speranza cristiana, ravvivata dal Tempo di Avvento, trova la sua sostanza nel Natale di Gesù Cristo: l’eccelso diviene umile, le tenebre sono trasformate in luce, la morte è redenta in vita. Ciò che sembrava perduto è stato finalmente e definitivamente ritrovato.

La speranza cristiana, verrà ravvivata in noi dal tempo di avvento, se la nostra vita troverà la sua sostanza nel Natale di Gesù Cristo, cioè: quando noi lasciamo che l’eccelso si faccia umile nella carne delle nostre relazioni; quando trasformiamo le tenebre dei nostri pensieri in luce di benevolenza; quando le nostre vite (che sembrano morte quando scorrono nella inconsapevolezza) vengono redente nella coscienza di noi stessi; quando noi – che eravamo perduti nei rivoli delle mille cose da fare e nel turbinio delle distrazioni – permettiamo di essere ritrovati in Cristo Gesù e da Cristo Gesù.

dom Tonino +


Qui sotto il video integrale della predicazione


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PAX

UT UNUM SINT




 
 
 

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