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III settimana d'Avvento 2020: Il Regno di Dio avviene per te!

  • Christiana Fraternitas
  • 11 dic 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 12 dic 2020

Giovanni Il Battista: tra luce e tenebre, l'invito ad accogliere Dio che sta già in mezzo a noi.


Venerdì 11 dicembre 2020 alle ore 20, presso la Cappella della Casa d'Amministrazione, la seconda tappa del Tempo d'Avvento proposto dalla Christiana Fraternitas con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola e il lucernario tratto dalle Constitutiones Apostolorum. Durante la Preghiera le monache e i monaci hanno indossato la mascherina arcobaleno per sensibilizzare alla pace e all'inclusione sociale.

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Omelia del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella

in occasione della III settimana d'Avvento 2020


Testo di riferimento Gv 1, 6-8. 19-28


Luce e tenebre due ecclesiologie a confronto


Cari Fratelli e Sorelle, care Amiche ed Amici,

anche questa settimana la Liturgia ci mette dinanzi la figura del Battista. Se domenica scorsa, attraverso il testo marciano, siamo stati messi a confronto con il luogo, il modo ed il contenuto del suo messaggio, questa settimana – chiamata dalla tradizione Gaudete, o della gioia – leggiamo, invece, l’interpretazione che l’evangelista Giovanni dà del Battezzatore del suo ministero.


Il brano si compone di tre parti. Nella prima parte (vv. 6-8) l’evangelista ci offre la chiave di lettura del ministero di Giovanni: egli è un uomo che dà testimonianza alla luce (il Messia). Nella seconda parte (vv. 19-22) assistiamo come ad uno scontro tra la luce e le tenebre, “filo rosso” che accompagna tutta l’opera redazionale del testo giovanneo. Da un lato c’è il Battista e dall’altro i sacerdoti ed i leviti – gli addetti al culto, le autorità religiose. Essi pretendono di definire Giovanni e, quindi, di controllarlo. Infine, nella terza parte (23-27) il Battista definisce se stesso, ma in relazione a colui che sta già in mezzo al popolo e che il popolo deve solo riconoscere. Giovanni, quindi, ci mostra che egli (come ogni uomo) può comprendere se stesso solo alla luce di Cristo, vero Uomo. Se i sacerdoti ed i leviti volevano definire Giovanni in relazione al loro modo di intendere la fede, Giovanni si definisce in relazione non ad una dottrina, ma ad una Persona: Gesù!


Il punto determinante, il punto di snodo è il tema della luce: Cristo, il Verbo eterno di Dio che ha posto la sua dimora in mezzo a noi, anzi in noi, è la luce vera, quella che illumina il mondo ed ogni persona. È lui la chiave di accesso alla gioia vera dell’uomo, perché lui solo disvela all’uomo la sua dignità, la sua libertà e responsabilità, il senso della sua vita vissuta in pienezza. Per questo Giovanni rifiuta di definire se stesso: non sono il Cristo, non sono Elia, non sono il profeta. Si rifiuta persino di dire perché battezza, ma si limita a dire che il suo battesimo è provvisorio, è solo il segno, l’anticipazione di un nuovo e definitivo battesimo, che sarà quello in Gesù.


A guardar bene, però, ciò che qui viene posto a confronto sono due differenti e inconciliabili modi di intendere il mondo della fede; con un linguaggio contemporaneo e adattato al fatto cristiano, potremmo dire che in questo brano si scontrano due diverse ecclesiologie.


Abbiamo Giovanni, il quale si pone come uno che mette tutto in relazione alla luce, attesa dal popolo e dall’umanità. Egli non attira a sé, non si interpone tra il popolo ed il Messia atteso. Vuole solo indicare il Messia presente. Egli dà testimonianza alla luce. Ma come? Come fa Giovanni a dare testimonianza alla luce? Con la sua stessa attesa. Sì, Giovanni non si pone come uno che ha già trovato ciò che cercava, non si presenta come un discepolo realizzato, come un profeta che ha chiara la comprensione e la visione di Dio e del suo progetto. Proprio le risposte che dà di sé ci mostrano questo suo modo di essere. Quando viene interrogato sulla identità, sembra quasi che ne sia ancora alla ricerca: sa dire più facilmente ciò che non è (non sono il Cristo, Elia, il profeta), piuttosto di ciò che è (sono voce di uno che grida). Giovanni attrae proprio per questa sua – diciamo così – evanescenza, trasparenza. Non si pone come uno che sta in mezzo, tra Dio ed il suo popolo, ed ha quasi oscurato, assorbito il rapporto, come se fosse un mediatore indispensabile, senza del quale non possa esserci legame tra Dio ed il popolo. Egli è solo un indicatore: mostra una strada, quella strada che lui stesso sta percorrendo, assettato com’è - lui per primo – della luce e della gioia vera del Messia.


Il Battezzatore, non è preoccupato di chi lo segue, di chi lo ascolta, di chi accoglie il suo messaggio. Non misura l’efficacia della sua missione in base al numero dei seguaci o alla gradibilità del suo messaggio. Ciò che per lui conta è soltanto cercare colui che deve venire. Sa che questa sua ricerca sincera e appassionata sarà tanto affascinante che naturalmente attirerà altri, non a lui, ma alla ricerca stessa e al Ricercato. Solo la sed nos alumbra – solo la sete ci illumina e ci indica la strada, diceva una grande donna della cristianità (Teresa d’Avila). Giovanni era semplicemente un assetato e, con la sua sete, ha fatto sorgere in altri il desiderio di abbeverarsi alla fonte dell’acqua viva e della luce vera.


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Di fronte, e contro di lui, si staglia, minacciosa, un’altra ecclesiologia. È quella che scende da Gerusalemme. Il testo colloca la scena a Betania, al di là del Giordano. Si tratta, quindi, di una Betania diversa da quella che si trovava vicino al Monte degli Ulivi, ove abitavano Lazzaro e le sue sorelle. Quest’ultima e conosciuta Betania dista solo 3 km da Gerusalemme. Il viaggio sarebbe stato breve. Tuttavia, il testo di Giovanni ci parla di un’altra Betania, che non sappiamo individuare con precisione. Sappiamo, però, che per giungervi occorreva superare il fiume Giordano che si colloca a 34 km ad est di Gerusalemme. Questi sacerdoti e leviti avevano quindi percorso almeno 34 km per giungere sino al Battista. Come mai tanto zelo? Come mai il gotha dei farisei si scomoda e fa tanta strada? Per cercare? Per comprendere? No! Per controllare! La domanda reiterata sulla identità di Giovanni non manifesta il loro desiderio di conoscerlo, ma il loro rifiuto di riconoscerlo! Abituati, come sono, a mettersi fra Dio ed il popolo, impedendo al popolo di oltrepassarli per raggiungere Dio, non possono tollerare che qualcuno annunci, profetizzi e battezzi senza che loro abbiano prima stabilito se quella persona viene da Dio e meno. Non si pongono nell’ottica di dover riconoscere ed accogliere la presenza di Dio nelle persone; presumono di essere loro a stabilire cosa sia veramente opera di Dio e cosa no. Si ritengono mediatori, ma alla fine hanno così ingigantito la loro mediazione che essa è diventata la realtà assoluta: hanno preso il “posto” di Dio. Hanno smesso di essere testimoni di qualcosa d’altro, indicatori di una strada, realtà penultima ed hanno iniziato a sentirsi loro stessi il definitivo, la meta, la luce, la realtà ultima. In nome di Dio hanno spodestato Dio dal trono della sua gloria e vi si sono assisi sopra. E, siccome vogliono essere padroni di tutti i troni di Dio, vorrebbero spodestarlo anche dal trono che si trova nel cuore dell’uomo.


Ciò che stupisce è che tanto Giovanni il Battista, tanto questi sacerdoti e leviti, si collocano nel mondo religioso, nel mondo della fede. È evidente che questa “battaglia” tra luce e tenebre non riguarda anzitutto il rapporto tra mondo di fede e mondo profano o, per così dire, tra Chiesa e mondo. Questa è una battaglia interna: in ciascuno, come nella Chiesa, esiste perennemente questo conflitto tra luce e tenebra ed è sempre in agguato. La Chiesa di Gesù non deve essere preoccupata della affermazione di se stessa, né dei risultati numerabili delle sue iniziative e attività, né tanto meno del numero dei suoi adepti. La Chiesa è luminosa solo se rimane in ricerca essa stessa del Signore, se lo attende nella gioia e nella speranza e, con la sua vita di desiderio, suscita il medesimo desiderio nel cuore delle persone. La Chiesa risplende di luce se suscita in tutti il bisogno di fissare lo sguardo su Gesù e non su di essa; la Chiesa è raggiante di luce se gli uomini e le donne, vedendo il luccichìo dei suoi occhi, mentre protende lo sguardo verso il Cristo che viene, sentono in se stessi il desiderio di guardare anch’essi lì dove sta guardando lei, verso la speranza che viene da Gesù, verso la luce nuova dell’umanità, che è Cristo stesso. La Chiesa rifulge di luce meravigliosa se rimane vetro trasparente, attraverso il quale i raggi sfolgoranti e caldi dell’amore di Dio passano liberamente per inondare le case dei cuori delle persone, senza diventare vetro affumicato, opaco che blocca quei raggi e li rispedisce al mittente.


Accogliendo l’invito del Battezzatore e cioè di accorgerci che Dio è in mezzo a noi, non possiamo non esclamare:


Gioisci, Chiesa santa di Dio, perché sei umanità assetata dell’amore di Dio, ricercatrice instancabile della sua luce senza tramonto, destinatario immeritevole dell’amore infinito del Padre; perché sei grembo materno che genera vita e fa nascere la nostalgia di Colui che è venuto e ti ha resa riflesso della sua luminosa bellezza senza tempo;


Gioisci, uomo e donna, che sei e rimani il trono della gloria del Signore, al di là di ciò che altri dicono o vogliono pensare di te; perché l’unica definizione che ti interessa è quella del tuo nome, che risuona con ineffabile dolcezza sulle labbra del Padre tuo, che è nei cieli e si è assiso nel santuario della tua infinita e creaturale bellezza;


Gioisci anche tu, che cerchi un senso, che cerchi uno spiraglio di luce, che ti attacchi con bramosìa alla tua voglia di vivere e di realizzarti, perché in te c’è già il segno del Messia, che si è fatto uomo e continua a farsi a uomo anche in te – che forse non conosci il suo nome – ma lui conosce il tuo e ne ha fatto un meraviglioso prodigio nella tua sete di bene, di vero, di nobile. Gioisci senza sosta, perché non c’è nulla che sia pienamente umano che al tempo stesso non sia anche radiosamente divino.


Fratello e Sorella che avete ascoltato queste parole, per caso oppure no: Gioite nel Signore, sempre, te lo ripeto ancora, gioite! (Fil 4, 4)

dom Tonino +

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Inaugurazione del presepe


Prima di dare inizio alla Celebrazione della Parola, con una preghiera l'Abate Antonio ha inaugurato il presepe. Qui sotto il teso della preghiera.


Dio onnipotente ed eterno, amante della vita,

per mezzo del tuo Verbo Increato hai dato origine a tutte le cose

ed hai plasmato l’universo

perché portasse il segno della tua gloria e della bontà.

Stendi la tua mano su di noi,

che inauguriamo questo presepe,

perché esso ci ricordi che tutto da te proviene

e tutto te anela e ricerca:

ti cercano e ti attendono gli uomini e le donne,

che hai redento per mezzo del tuo Verbo fatto carne;

verso di te si innalza l’armonioso canto degli animali, della vegetazione e degli astri,

i quali inneggiano all’Autore della Vita, che diventa creatura.

Fa’ che tutto e tutti attendano il ritorno glorioso del tuo Figlio,

quando né l’uomo né il creato dovranno più gemere, come nelle doglie del parto,

ma potranno finalmente gioire in eterno nell’amore

e nella letizia dei cieli nuovi e della terra nuova.

A te, Padre misericordioso,

per Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro redentore,

nell’unità dello Spirito Santo,

ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.

Amen

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