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In Epiphania Domini: la vigilia celebrata alla Christiana Fraternitas

  • Christiana Fraternitas
  • 6 gen 2023
  • Tempo di lettura: 8 min

"Gesù propone di aprirsi alla verità data da un Altro, da Dio! Una verità che viene dall’alto, sì, ma che è donata per illuminare l’uomo, per farlo crescere, per indicargli la via della sua felicità e della sua piena realizzazione. Cos’è, d’altro canto, la stella dei Magi se non l’audace proposta di Dio per l’umanità ad alzare lo sguardo verso orizzonti più ampli di quelli a cui l’uomo è abituato?". Alcune delle parole tratte dall'omelia dell'Abate Antonio.


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Giovedì 5 gennaio 2023 alle ore 19:30, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" della Casa Apostolica alla Christiana Fraternitas si è svolta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola e la Commemorazione della Cena del Signore "in Epiphania Domini". La preghiera è stata arricchita anche dalla "benedizione" dei gessetti serviti poi per la "benedizione dei magi" fatta alle famiglie nel giorno seguente. La Celebrazione è stata trasmessa in diretta Facebook per raggiungere quanti desideravano condividere con la Famiglia Monastica l'Epifania del Signore.



Testo integrale dell'omelia

del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella

per la Celebrazione "In Epiphania Domini" 2023


Testo di riferimento Mt 2, 1-18


Cari Fratelli e Sorelle, Amici ed Amiche,

il brano della adorazione dei Magi ci è particolarmente caro. Abbiamo in questi anni avuto modo di approfondire la figura di questi infaticabili cercatori di Dio. Ed il frutto della nostra indagine storica, esegetica e spirituale ha dato vita al libro Interpellati dal Cielo.

Oggi vorrei anche unire la nostra voce al coro di preghiere che, dal mondo intero, sono state elevate per il Vescovo emerito di Roma, Papa Benedetto XVI. E vorrei far giungere a Francesco, Vescovo di Roma e guida della Chiesa cattolica romana, la nostra fraterna vicinanza. Possiamo dire che lo stesso ministero petrino di Ratzinger è iniziato nel segno dei Magi. Ricorderete certamente la sua prima “Giornata mondiale della Gioventù” a Colonia, nel 2005, che fu dedicata proprio alla figura dei Magi.

Benedetto XVI si rivolse ai giovani, provenienti da tutto il mondo e raccolti nella spianata di Marienfeld, la sera del 20 agosto 2005, con queste parole:

I Magi provenienti dall'Oriente sono soltanto i primi di una lunga processione di uomini e donne che nella loro vita hanno costantemente cercato con lo sguardo la stella di Dio, che hanno cercato quel Dio che a noi, esseri umani, è vicino e ci indica la strada. È la grande schiera dei santi – noti o sconosciuti – mediante i quali il Signore, lungo la storia, ha aperto davanti a noi il Vangelo e ne ha sfogliato le pagine; questo, Egli sta facendo tuttora. Nelle loro vite, come in un grande libro illustrato, si svela la ricchezza del Vangelo. Essi sono la scia luminosa di Dio che Egli stesso lungo la storia ha tracciato e traccia ancora”.


Ricordiamo così questo nostro grande Fratello nella fede, come un infaticabile cercatore di Dio, come un uomo di fede che ha messo dinanzi al mondo la sfida di cercare il senso vero e profondo di tutte le cose e della vita stessa, che Dio solo può manifestare.


Questa sera, lasciandoci provocare dall’evento dell’Epifania, noi vogliamo chiederci: cosa trovarono i Magi e come lo trovarono? Se negli anni passati ci siamo lungamente interrogati sulla figura Magi e ci siamo messi dalla loro parte, cioè abbiamo meditato sul brano dell’Evangelo immedesimandoci in loro, oggi invece proviamo ad immedesimarci non nei cercatori ma nel Cercato: Dio stesso che si manifesta a noi.

Possiamo dire che nel brano dei Magi è già racchiusa la rivelazione della identità di Gesù, di quel bambino che allora era ancora ignaro di se stesso, ma che già attirava attorno a sé il senso di tutte le cose.

Quel bimbo – divenuto ormai grande e consegnando la sua eredità nell’ultimo pasto con i suoi discepoli – dirà di se stesso: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6), racchiudendo in queste parole tutta la autocomprensione che egli aveva di se stesso, della sua identità e del suo ministero. Se facciamo attenzione, nel brano dei Magi troviamo gli stessi elementi, sebbene con parole differenti: la strada, la stella, il bambino. Se l’evangelista Giovanni pone sulle labbra di Gesù i tre sostantivi – via, verità e vita - e Matteo li aveva già racchiusi nel racconto dei Magi, allora dobbiamo desumere che attraverso di essi la primitiva comunità cristiana aveva compreso con evidenza e certezza una specifica ed insuperabile conoscenza della persona di Gesù, una conoscenza che non era il risultato della riflessione di uno dei dodici o di uno dei discepoli, ma della stessa autorivelazione del Maestro.


In Gv 14,6 Gesù dice di se stesso di essere la Via. Il termine greco utilizzato è conosciutissimo: odòs. Quando Matteo, nel brano dei Magi, narra del percorso da essi compiuto per giungere fino a Gesù e di quello – diverso – che dovranno fare per il ritorno – utilizza lo steso termine, odòs (2,12). Anche gli altri evangelisti avranno a cuore il tema della strada, della via. Per esempio, l’itinerario di Marco, costruito tutto come una scuola di discepolato, identificherà i discepoli di Gesù anzitutto come quelli che “vanno dietro a lui” (1,17) e solo dopo come quelli che “stanno con lui” (Mc 3,14). L’evangelista Luca, invece, costruendo redazionalmente la sua narrazione come un viaggio verso Gerusalemme, concentrerà l’insegnamento di Gesù proprio “lungo la strada”.

È doveroso ricordare che l’espressione via, strada nel suo significato di esperienza di fedenon è un’invenzione del cristianesimo. Essa era presente nella Scrittura Santa del popolo ebraico. Il profeta Isaia aveva chiaramente detto che sarebbe stato necessario preparare nel deserto la via del Signore (cf Is 40, 3) ed il Battista aveva compreso se stesso come il profeta mandato a fare questo (cf Mc 1,1). Gli esseni di Qumran avevano così tanto centrato la loro teologia e spiritualità su questo tema da chiamarsi: “quelli della via”. Sarà Paolo di Tarso a prendere questo appellativo – quelli della Via – ed attribuirlo ai cristiani. I qumranici intendevano per via i comandamenti della Torah, della Legge; il Nuovo Testamento parlerà della Via riferendola a Gesù stesso, incarnazione dell’amore di Dio, gratuitamente donato. La via dei qumranici era l’imposizione della legge, quella dei cristiani è la libertà del dono d’amore.

Gesù anzitutto e dopo di lui i suoi discepoli ed apostoli avevano chiara in mente la consapevolezza che il discepolato è un camminare. Noi spesso crediamo che Dio sia una sorta di premessa al discepolato: prima credo, poi mi metto in cammino. Ed invece nel Vangelo è esattamente il contrario: Dio è la meta, il punto di arrivo. Anche Gesù dirà la stessa cosa ai due discepoli di Giovanni che inizieranno a seguirlo: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). Dio non è una certezza raggiunta e acquisita, né è una convinzione raggiunta che ci mette in moto. Dio è un’ansia, una domanda, una inquietudine, un’attesa, un desiderio. Solo chi è disposto – come i Magi – a mettersi sulla Via giunge a trovarlo.


L’altro termine con cui Gesù si autodefinisce e che è pure racchiuso nel racconto dei Magi è quello di Verità, richiamata dalla stella. Il termine greco è interessante: alétheia. Questo sostantivo deriva dal verbo alanthàno, che è costruito dal verbo lanthàno (coprire) con l’alfa privativo che lo precede. Significherebbe, quindi, non coperto, dis-coperto, dis-velato. Un’altra etimologia – proposta da pochi, ma ugualmente interessante – è che alétheia derivi dal verbo àlth-omai (guarire, far crescere). La verità, allora, sarebbe ciò che risana e fa crescere. In un modo o nell’altro, a nessuno sfugge che tanto l’atto del disvelamento tanto quello del far crescere sono atti ricevuti: infatti è necessario che qualcuno tolga il velo per disvelare, che qualcuno abbia cura per far crescere. In entrambi i casi, con l’assenza di qualcuno, non sarebbe possibile scoprire e crescere.

Questa indicazione, che ci proviene dall’etimologia, è – a mio parere – particolarmente importante. Viviamo in un mondo tecnologizzato, nel quale la ragione empirica ci ha portati a ritenere che la verità sia quella acquisita, conquistata dalla sperimentazione e che ciò che non è empirico, immediatamente sperimentabile, semplicemente non sia vero. Noi ci percepiamo come costruttori di verità. Anche dal punto di vista delle notizie accade la stessa cosa: è sufficiente che una notizia venga ripetuta – senza alcuna verifica della sua veridicità – perché essa diventi ipso facto “vera”. Siamo pienamente figli di Giambattista Vico, per il quale – come ha acutamente sottolineato Benedetto Croce - : “lo spirito umano non può conoscere se non ciò che egli stesso ha fatto, e che, avendo l’uomo fatto la storia umana, in questa sfera il suo conoscere è vero, perché vero e fatto si convertono reciprocamente” (Il concetto moderno della storia, in B. Croce, Filosofia e storiografia, 19692, p. 354).

Però in questo modo la verità non è più un dono, ma una conquista ed essa si appiattisce unicamente su ciò che l’uomo può costruire e realizzare; non esiste più – in questo modo – alcuna verità metafisica, alcuna verità ultima e definitiva. La proposta di Gesù, invece, è rivoluzionaria: all’uomo che, pretendendo di costruire da se stesso la verità, e, alla fine, è rimasto senza risposte ultime, Gesù propone di aprirsi alla verità data da un Altro, da Dio! Una verità che viene dall’alto, sì, ma che è donata per illuminare l’uomo, per farlo crescere, per indicargli la via della sua felicità e della sua piena realizzazione. Cos’è, d’altro canto, la stella dei Magi se non l’audace proposta di Dio per l’umanità ad alzare lo sguardo verso orizzonti più ampli di quelli a cui l’uomo è abituato? L’uomo, che pretende di costruire da solo la sua verità, si trova infine senza risposte e annichilito dal vuoto di senso. L’uomo che, invece, si apre alla prospettiva alta di Dio, cerca la verità che gli viene disvelata e donata e trova il senso appagante e definitivo della sua esistenza.

Gesù è la Verità che viene dall’alto, ma che viene incontro all’uomo come la stella per i magi, lo cerca e lo trova nei meandri della sua esistenza, nei deserti di senso e di pienezza e lo guida alla sua vera meta che è la vita, la vita piena, la vita eterna.


Siamo così giunti alla terza ed ultima parola dell’autodefinizione di Gesù: io sono la Vita. Quei Magi, abituati a costruire la verità da se stessi, attraverso la ricerca scientifica a loro disposizione, hanno accolto la sfida di una Verità altra, di una verità non conquistata e provvisoria, bensì di una verità ricevuta, accolta, ma definitiva. Si sono messi sulla strada. Verità e strada sono un anticipo della meta, ma non sono la meta. Come un antipasto, preparano alla sazietà del banchetto. La pienezza sta alla fine del cammino, al termine della ricerca e non è una conoscenza astratta, una idea da cui far dipendere le cose, bensì una Persona, una Vita, anzi la Vita: Gesù stesso, Figlio di Dio fatto Uomo per amore degli uomini e delle donne. Questa Vita, però, si manifesta nella fragilità di un bambino. Potremmo dire che qui si rivela la genialità di Dio, che disarma la logica umana. Dopo la ricerca della verità, dopo il faticoso cammino sulla via, ci saremmo aspettati la forza della Vita di un Re, di un Signore, di un Dio onnipotente. Ed Egli, invece, ci fa trovare e ci mostra la fragilità di un bambino, perché la Vita che Lui è e che è venuto a donare a ciascuno di noi è una Verità che non si impone, ma si propone; è un dono di amore, che invita e non costringe; è una strada luminosa che persuade e convince ma non obbliga.


Cari fratelli e sorelle, cari amici ed amiche!

Non abbiate paura di lasciare che il Signore si manifesti nella vostra vita. Mai come oggi tutti abbiamo la necessità di lasciarci illuminare e scaldare dalla luce della Verità che si lascia trovare alzando lo sguardo, provando ad esplorare orizzonti ignoti che pure sono per noi; abbiamo la necessità di destarci dalle apatie paralizzanti, dalle assuefazioni che ci trattengono per percorrere l’entusiasmante cammino della nostra esistenza sulla Via faticosa ma sicura che ci è proposta; abbiamo la necessità di scommettere sempre e nuovamente tutto sulla nostra Vita perché in essa c’è il grande mistero della nostra partecipazione alla vita di Dio che è eterna. Questa è l’Epifania del Signore, questo il senso della Stella, della strada, del Bimbo: Gesù Cristo, via, verità e vita, e noi in lui. Amen.


dom Tonino


Qui sotto il video dell'intera celebrazione.



Pax

Ut unum sint



 
 
 

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