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La Candelora: Presentazione di Gesù al tempio e la giornata mondiale della vita consacrata 2025

  • Christiana Fraternitas
  • 2 feb
  • Tempo di lettura: 7 min

"Questa festa della Presentazione di Gesù al tempio ci manifesta la persona di Gesù obbediente, sacrificata e perciò capace di illuminare; ma ci manifesta anche chi possiamo essere noi". Sono alcune parole tratte dell'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella in occasione della festa della Candelora 2025.


Domenica 2 febbraio 2025 alle ore 19:30, presso la Cappella Santi Benedetto e Scolastica della Casa Apostolica si è svolta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per in occasione della festa della "Presentazione di Gesù al tempio" ai più conosciuta come la "Candelora". Della preghiera è stata trasmessa in diretta Facebook solo l'omelia dell'Abate per raggiungere con la predicazione quanti desideravano ricevere un nutrimento spirituale. La liturgia ha previsto il tradizionale lucernario e i fedeli hanno avuto in dono una o più candele da portare con se.



Omelia del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella

in occasione della Celebrazione della Parola

per la festa della "Presentazione di Gesù al tempio"

e la giornata mondiale della vita consacrata 2025


Testo di riferimento Lc 2, 22-40


Cari fratelli e sorelle, cari amici,

la festa della presentazione di Gesù al tempio è una celebrazione antica, progressivamente arricchita di simboli e significati. Al di là delle differenti forme storiche che essa ha assunto nel corso dei secoli, rimangono però due temi che ne segnano l’importanza in modo costante: Gesù, la luce che illumina tutte le genti, e l’offerta della sua vita al Padre, mentre viene portato dai suoi genitori al tempio di Gerusalemme. Già da qui comincia il sacrificio del Redentore: egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti, attraverso di lui i cuori saranno svelati. Questa missione, che il Padre gli affida, egli la comprenderà progressivamente e la porterà a termine fino alle sue estreme conseguenze.


L’obbedienza del Signore e la sua fedeltà alla missione ricevuta dal Padre lo renderanno luce per tutti i popoli. Egli riversa sul mondo, avvolto dalle tenebre della disobbedienza, la luce nuova del suo fulgore, perché in forza della sua obbedienza e del suo sacrificio aprirà di nuovo le porte del cielo e Dio e l’uomo torneranno a parlarsi come amici. Non è un caso che i nostri fratelli di tradizione orientale chiamino questa festa con il nome di hypapantì, festa dell’incontro.


La disobbedienza di Adamo aveva allontanato l’uomo da Dio, l’obbedienza sacrificale di Gesù li fa incontrare di nuovo e li mette nuovamente in dialogo d’amore.

Luce, obbedienza, sacrificio: è questo l’intreccio misterioso e salvifico di questa festa, che ci svela il paradosso cristiano. Sì, la fede e la vita cristiane sono paradossali! Lo sono sempre state e lo sono ancor più oggi.


Se oggi dovessimo domandare al cuore dell’uomo contemporaneo: “qual è la luce della tua vita?”, che risposta ne avremmo? La maggior parte delle persone non saprebbe neppure rispondere, perché molti vivono senza porsi seriamente la domanda del perché vivono. Non cercano la luce che dà senso a tutta l’esistenza ed a tutti gli ambiti dell’esistenza. Se poi dovessimo domandare che valore danno all’obbedienza ed al sacrificio, ne riceveremmo risposte stizzite, perché l’obbedienza è vista come una limitazione della persona e della sua autoaffermazione ed il sacrificio come una maledizione costante che grava sulla vita dei più.


Noi, oggi, celebriamo una festa che parla di temi e di dimensioni esistenziali che non interessano più, che persino sono fraintesi. Eppure noi li poniamo e li affermiamo come temi e valori capaci di dare senso all’esistenza e di colorarla di gioia. Per questo siamo paradossali! Perché annunciamo come vero e bello ciò che il mondo continua a rifiutare!


Perché – dobbiamo domandarci – obbedienza e sacrificio sono legati al tema della luce?

Cos’è l’obbedienza? Lo sappiamo: essa porta con sé il significato di ascoltare, di porgere l’orecchio. L’obbedienza non è l’asservimento a qualcosa che sta fuori di noi e ci piomba addosso come una limitazione di noi stessi. L’obbedienza ci mette davanti ad Uno che ci sta di fronte, che ci parla, che ci indica la strada e lo fa con lo splendore del suo amore sacrificato. Non ci impone nulla; ci mostra la misura del suo amore, di quell’amore che lo ha portato a dare la sua stessa vita per noi. Obbedienza è, quindi, stare di fronte a Gesù che ci dice: ecco, questo è il modo con cui ti ho amato e continuo ad amarti. Guarda i segni dei chiodi, metti qua la tua mano, vedi cosa sono disposto a vivere per te. Obbedienza è accogliere un amore che ci supera, un amore che non meritiamo eppure ci viene donato con sovrabbondanza. Obbedienza significa allora comprendere che la nostra vita è molto di più degli affanni per realizzare noi stessi, è lasciarsi travolgere, sconvolgere e spronare da un di più che ci sta davanti. Obbedienza significa comprendere che il valore della nostra vita non sta in quello che noi pensiamo di poter fare e costruire, ma ce lo mostra l’Autore stesso della vita: se Lui è stato capace di immolare sé stesso per noi, allora questa è la misura alta della nostra vita. Lo disse con solare chiarezza il vescovo di Roma Giovanni Paolo II: il valore di ognuno di noi è immenso, perché siamo stati redenti dal sangue di Cristo (Giornata Mondiale della Gioventù 1985). Obbedire significa, quindi, accogliere il valore alto della nostra esistenza ed elevarla dalle miserevoli beghe, dai meschini affanni a cui di solito diamo un valore spropositato.


L’obbedienza costa sacrificio, perché richiede fedeltà. Il sacrificio non è anzitutto la rinuncia a qualcosa di legittimo, la privazione di qualcosa di soddisfacente. Il sacrificio è la fedeltà quotidiana, instancabile a ciò a cui si dà valore. Il sacrificio, quindi, è la costanza della scelta, la coerenza della decisione. Una volta che ho compreso ciò che veramente vale per me (cioè una volta che ho obbedito al valore alto della mia esistenza), allora gli resto fedele, in modo costante, senza tentennamenti, senza ambiguità, senza compromessi. Il sacrificio di Gesù è la sua fedeltà alla volontà del Padre, al valore che lui ha attribuito alla nostra vita. La croce è lo strumento e la misura del sacrificio, ma il sacrificio in sé è stata la sua fedeltà obbediente a quel bene che Lui ha riconosciuto come senso della sua esistenza: la volontà del Padre di salvare l’uomo. Il sacrificio è la dedizione gioiosa, la consacrazione di tutta l’esistenza e di tutte le proprie energie al bene che si è riconosciuto come il bene più grande.


Solo così la vita diventa luce! La luce della vita, la vita che diventa luce è quella che ha riconosciuto ed accolto il suo senso e gli rimane fedele. Ora comprendiamo meglio perché la giornata odierna è destinata alla preghiera ed alla promozione della vita consacrata. La vita di consacrata è generatrice di luce nella misura in cui, come Gesù, ha accolto nell’obbedienza il suo valore più grande e gli rimane fedele: non c’è alcuno, che abbia messo mano all’aratro e si sia voltato indietro, che sia degno del Regno dei cieli, dirà il Signore Gesù.


Cari fratelli e sorelle, cari amici,

questa festa della Presentazione di Gesù al tempio ci manifesta la persona di Gesù obbediente, sacrificata e perciò capace di illuminare; ma ci manifesta anche chi possiamo essere noi. Nel racconto di Luca ci siamo accorti di come, attorno alla persona di Gesù, si attivi un grande fermento di personaggi: Maria e Giuseppe, che decidono di portarlo al tempio, sebbene avrebbero potuto compiere l’offerta ovunque; il vegliardo Simeone, la profetessa Anna.


Tutti fanno o dicono qualcosa ed il loro esserci ed agire contribuisce, in maniera diversa e specifica per ciascuno, al realizzarsi di questo momento rivelativo. L’andare dei genitori manifesta il senso del sacrificio, il loro ascoltare dà corpo all’atteggiamento dell’obbedienza. L’avanzare di Simeone compie l’incontro e le sue parole ne spiegano il senso, Anna ed il suo cantico di gioia e di ringraziamento ci rivelano che quello che si sta compiendo sarà, alla fine, foriero della più grande gioia per l’umanità. Senza il convenire ed il convergere attorno a Gesù di tutti questi personaggi, quel momento della sua vita sarebbe rimasto privato, forse sconosciuto e non avrebbe sprigionato la sua potente portata simbolica e rivelativa.


Questa festa della presentazione al tempio, allora è anche la festa della cooperazione umana al progetto di Dio. Dio ci salva, ma prolunga la sua opera di salvezza attraverso di noi. Chiede la nostra cooperazione. Segno di tutto questo sono le parole che Simeone rivolge a Maria, la madre di Gesù. Egli dirà che Gesù è venuto come segno di contraddizione, per rivelare i segreti di molti cuori e poi, rivolto a Maria, aggiungerà: anche a te una spada trapasserà la tua anima. Sappiamo che quella frase significa che anche Maria, dinanzi al Figlio, dovrà compiere la scelta di accogliere la sua missione ed obbedire ad essa. Ma perché rimarcare questo fatto che riguarda Maria, in questo racconto lucano? Perché qui Maria sta – come in altri passi del Vangelo – come un simbolo, come il simbolo dell’umanità tutta che dinanzi a Gesù dovrà prendere posizione, dovrà scegliere quale sia il suo bene vero.


Lo dirà espressamente e più volte Agostino di Ippona: «Qui creavit te sine te, non iustificat te sine te – Colui che ti ha creato senza di te, non ti giustifica senza di te» (Sermo 169,13); «Qui ergo fecit te sine te, non te iustificat sine te: fecit nescientem, iustificat volentem – Quindi colui che ti ha fatto senza di te, non ti giustifica senza di te; ti ha creato senza che tu lo sapessi, ma ti giustifica con il tuo consenso» (De gratia et libero arbitrio 17,33).


Cari fratelli e sorelle, mettiamoci in ascolto obbediente, permettiamo a Gesù di starci dinanzi. In Lui scopriamo il nostro valore ed il nostro bene più grande, seguiamolo nel sacrificio fedele e nella fedeltà sacrificata, così saremo luce per il mondo, uniti a Lui, insieme a Lui. Diamo a Gesù il “consenso” di salvarci e fare della nostra vita una luce sfolgorante per quanti continuano a vivere nel buio della insipienza e della insignificanza.


dom Antonio Perrella

Abate della Christiana Frateritas




Pax

ut unum sint






 
 
 

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