Mercoledì delle Ceneri 2024 alla Christiana Fraternitas
- Christiana Fraternitas
- 15 feb 2024
- Tempo di lettura: 7 min
"Ritornare e riconciliarsi sono un cammino di libertà, di liberazione. Anzitutto liberazione dalla peggiore delle schiavitù che attanaglia la vita degli uomini: la schiavitù da noi stessi!". Queste le parole dell'omelia tenuta dall'Abate dom Tonino per la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per l'inauguraizone del "Tempo del Deserto" (Quaresima).

Mercoledì 14 febbraio 2024 alle ore 19.45, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" della Casa Apostolicala si è inaugurato il Tempo del Deserto ai più conosciuto come la Quaresima. Alla Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola, moderata dal nostro Abate Antonio, non è mancato il segno delle Ceneri.

Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
in occasione della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola
per l'inaugurazione del "Tempo del Deserto" 2024
Testi di riferimento Gl 2, 12-18; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
Carissimi,
si apre dinanzi a noi il cammino quaresimale, un esodo interiore dall’uomo vecchio verso l’uomo nuovo.
Il senso, l’orientamento di questo itinerario ci è stato offerto dalla processione penitenziale con cui siamo venuti verso la nostra Casa di Preghiera. Eravamo raccolti nel piazzale: un luogo neutro, un luogo di vita ordinaria, di faccende domestiche, di incontri conviviali. Ci siamo messi in cammino verso la Casa di Preghiera: un luogo santo, il luogo dove abita Dio, dove noi Lo incontriamo e veniamo raggiunti dalla grazia della Sua Presenza e della Sua Parola. Abbiamo varcato la porta, simbolo di Cristo, porta dell’ovile.
Questo segno, con cui abbiamo iniziato la Celebrazione, è molto più che un rito: è il paradigma del cammino quaresimale e di tutta la vita cristiana, cioè il passare da una vita, vissuta alla luce del quotidiano, ad una vita nuova, vissuta alla luce della ricerca di Cristo. Sì, cari fratelli e sorelle, la quaresima, questa quaresima o è il tempo della scelta definitiva per Gesù oppure è meglio non viverla proprio. Se deve essere un’altra delle tante quaresime vissute per tradizione, per abitudine, è meglio non dare proprio inizio a questa finzione, non prolunghiamo oltremodo il carnevale. Infatti la seconda lettura ci esorta a renderci conto: ecco ora il momento favorevole; ecco ora il tempo della salvezza!
La prima e la seconda lettura che abbiamo ascoltato avevano come centro di significato due verbi: ri-tornate e lasciatevi ri-conciliare.
È evidente che si tratta di due azioni iterative, cioè che si ripetono. Sì, la quaresima si ripete per la misericordia di Dio, ma anche per la durezza del nostro cuore. Se un giorno tutti vivremo la quaresima come tempo della scelta definitiva per Gesù, probabilmente vedremmo il Regno di Dio definitivamente instaurato in mezzo a noi. Quando ci domandiamo: perché Gesù ancora non torna? Perché non scende di nuovo nella storia ad aggiustare le storture degli uomini? La risposta a questa domanda è solo una: perché siamo ancora un popolo dalla dura cervice, perché ancora non abbiamo dato a Cristo la Signorìa piena sulla nostra vita. Dobbiamo dire grazie al Signore che ci concede un tempo nuovo di rinnovamento e di conversione. Anche questa quaresima è il tentativo di Dio di arare la terra, perché il fico della nostra vita non rimanga sterile (cf Lc 13, 6-9).
Ri-tornare e ri-conciliare sono un programma di vita spirituale che ha però un riflesso sulla vita sociale.
Tornare a Dio, tornare di nuovo a Dio vuol dire riconoscerlo presente nelle persone, nel creato, nella storia. Vuol dire interrompere l’orgia dei superbi e arrestare la bramosia delle nostre passioni, la smania di possedere ed usare tutto a nostro piacimento, per il nostro tornaconto. Poiché abbiamo cancellato Dio dalla vita di tutti i giorni, abbiamo dato spazio all’abuso sulle cose, sulle persone, sul creato.
Riconciliarsi vuol dire ritrovare la perduta armonia. L’armonia con Dio fa scaturire l’armonia con se stessi e con il mondo circostante. Solo chi torna a Dio sa vivere in modo pacificato. Senza Dio, la vita e la terra rimangono una giungla selvaggia e desolata, in cui l’egoismo e la sopraffazione la fanno da padroni.
Ritornare e riconciliarsi sono un cammino di libertà, di liberazione. Anzitutto liberazione dalla peggiore delle schiavitù che attanaglia la vita degli uomini: la schiavitù da noi stessi! Perché dobbiamo dircelo onestamente: gli unici a poterci rendere schiavi di qualcuno o di qualcosa siamo noi stessi! Nessuno e niente ha potere su di noi, se non siamo noi stessi a concederglielo.
L’Evangelo di Matteo, che abbiamo ascoltato, ci ha indicato le tre opere penitenziali proprie della quaresima: preghiera, digiuno ed elemosina. Esse sono in fondo tre vie di liberazione.
Quando Dio fece uscire Israele dall’Egitto, gli fece percorrere 40 anni nel deserto. Furono necessari 40 anni per percorrere una strada che, in realtà, si sarebbe potuta percorrere in qualche mese. Dio liberò il popolo, ma concretamente, delle persone che uscirono dal deserto, solo una – Giosuè – entrò nella terra promessa; neppure Mosè! Tutti gli altri erano morti nel deserto. 40 anni erano il tempo di una generazione. La generazione che uscì dall’Egitto non fu la stessa che entrò nella Terra promessa. Perché tutto questo? Probabilmente perché la generazione uscita dall’Egitto era erede di 400 anni di schiavitù e non sapeva come vivere in libertà. Tutto il cammino dell’esodo è costellato dei rimpianti degli israeliti del tempo dell’Egitto, del tempo della schiavitù. Occorreva rieducare quel popolo – inteso come soggetto collettivo – all’esperienza e all’esercizio della libertà!
Noi vivremo 40 giorni in cui possiamo riappropriarci della nostra libertà. E possiamo farlo esattamente attraverso le tre vie proprie della quaresima, indicate dal brano dell’Evangelo.
La preghiera è cammino di liberazione, perché ci educa ad un tempo in cui non produciamo economicamente. Essa interrompe l’affanno quotidiano e ci ricorda che c’è un Bene maggiore, un Bene più grande che nessuna ricchezza terrena può eguagliare. Pregare vuol dire ricentrare la propria vita in Dio e, quindi, significa accorgersi che non sono io il centro del mondo, neppure del mio mondo. È il Signore Gesù il centro irradiante che dà significato ad ogni ambito della mia esistenza. Pregare significa anche accettare la pro-vocazione di un pro-getto di vita che mi viene donato. Ci affanniamo a cercare il senso della vita e delle cose che accadono, ma spesso ci sentiamo come cercatori delusi. Siamo delusi perché quel progetto lo cerchiamo in noi stessi o in qualcosa fuori di noi, come in persone, nella affermazione professionale, nel riconoscimento sociale. Solo accettando la pro-vocazione di un pro-getto, che ci è donato come vocazione da Dio, riusciamo a trovare il senso dell’esistenza, di tutta l’esistenza.
La preghiera, quindi, è un cammino di liberazione dalla presunzione di auto-sufficienza e di auto-salvezza. Solo Dio ci salva, perché lui solo ci rende partecipi della vita divina e ci dona la grazia per vivere al meglio la nostra umanità. Una umanità senza Dio, l’unico Dio di Gesù Cristo, è disumana!
Il digiuno è un cammino di liberazione dalle pulsioni e dalle passioni istintive, per farle diventare tensioni significative. Spiego cosa voglio dire. Le nostre naturali pulsioni fanno parte della nostra umanità, fanno parte di noi. Tuttavia, esse – se non sono dominate ed inserite in un progetto di vita – possono essere una terribile forma di schiavitù. Il nostro rapporto con il bello, con il saporito, con il saputo possono essere esperienze di realizzazione, ma anche esperienze di schiavitù. Il digiuno ci educa alla capacità di porci dei limiti, alla necessità di imparare che quello che sta dinanzi a noi non è funzionale al soddisfacimento dei nostri bisogni e desideri ma ha una dignità sua propria.
Ritenere che tutto ciò che ci piace o che desideriamo debba essere nostro a tutti i costi è una schiavitù. Pensare che ogni voglia e desiderio debba essere soddisfatto è una schiavitù. Guardiamo le conseguenze di questo modo di pensare sulle nostre relazioni: se qualcuno sembra mettersi di traverso al raggiungimento dei nostri scopi, non abbiamo remore ad eliminare questa persona dalla nostra vita. Qualcuno addirittura non ha remore ad eliminare la vita stessa di quella persona. Anche nelle relazioni affettive può accadere che la passione prenda il posto del sentimento. Se dico di amare qualcuno, ma questa persona non corrisponde e vuole raggiungere la sua felicità senza di me, io non posso in alcun modo ritenere di essere indispensabile alla vita di quella persona. Quanta violenza, quante sopraffazioni, quanti soprusi per passioni becere, confuse per amore.
Il digiuno ci ricorda che la passione è una cosa buona se è inserita in una progettualità di vita e così diviene tensione significativa. Il senso della fame è inserito nel progetto di una vita, se serve a rispondere al bisogno di nutrirsi; l’attrazione fisica verso una persona è inserita in un progetto di vita se serve a rispondere al dono reciproco di se stessi.
Fuori della progettualità della vita le passioni rendono schiavi.
L’elemosina è il cammino che ci rende liberi dal possesso delle cose. Donare parte delle proprie cose, parte del proprio denaro significa riconoscere che i beni materiali sono strumenti attraverso cui vivere e non fini per cui vivere. L’elemosina è l’esperienza della libertà dalle cose: condivido con te, mi libero di una parte delle mie cose, perché so che esse assumono il loro significato se so condividerle e non se le tengo egoisticamente per me. La Chiesa primitiva aveva un sistema economico molto radicale: i beni erano messi in comune, poi progressivamente si passò alla prassi della cosiddetta decima. Ognuno, cioè, destinava alla comunità una quota prestabilita dei propri introiti, dei propri legittimi proventi. Non si trattava di una donazione sporadica, episodica, ma sistematica. Ognuno lavorava sapendo che dal proprio lavoro sosteneva la propria famiglia e la propria comunità.
Spesso oggi le persone si sentono a proprio agio perché di tanto in tanto, magari quando non costa molto, condividono qualcosa di sé, ma la condivisione o è uno stile di vita o è un’operazione di maquillage dell’animo umano: si tratta di un animo, radicalmente egoista, che si riveste di bonarietà.
Il brano dell’Evangelo di Matteo ci insegna, infine, un ultimo percorso di libertà. Per tutte e tre le opere di conversione - preghiera, digiuno ed elemosina - Gesù ripete che esse vanno fatte davanti a Dio, nel segreto del cuore e non dinanzi agli uomini, per esserne lodati. La quaresima è il percorso della libertà da quella terribile schiavitù che ci fa dipendere dal pensiero altrui. Infatti è innegabile che è la gradibilità sociale che detta legge nei comportamenti delle persone, non la ricerca del bene e del giusto. Oggi, molti agiscono in base a quanto apprezzamento possono ricevere e suscitare. Pochi sanno compiere scelte scomode, scelte contro tendenza, scelte libere dal giudizio altrui. Ma questo significa sempre vivere fuori di se stessi, vivere la vita che gli altri ci appiccicano addosso e non vivere la propria vita.
Ecco, carissimi, il percorso di liberazione che il Signore ci mette davanti in questa quaresima. Se la vivremo veramente, ci sentiremo scarnificati, graffiati nel cuore fino a raggiungere il punto più intimo di noi stessi; saremo spogliati di tutto e ci sentiremo nudi. Ma quello e solo quello sarà il momento in cui riusciremo a mettere l’abito dell’uomo nuovo, l’uomo rinato nella Pasqua di Cristo Signore. Amen.
dom Tonino +
Qui sotto il video della predicazione

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