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Veglia di Pentecoste 2024 alla Christiana Fraternitas

  • Christiana Fraternitas
  • 19 mag 2024
  • Tempo di lettura: 7 min

"In questa festa di Pentecoste apriamo realmente il nostro cuore al dono dello Spirito, unico capace di fare nuove tutte le cose: Egli ci sveglia dal torpore della nostra illusione di vivere senza Dio, Egli trasforma le tenebre del peccato nella luce della santità, Egli cambia la debolezza delle nostre insensatezze nella forza della verità luminosa". Sono le parole conclusive dell'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella per la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola nella Solennità di Pentecoste.


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Anche alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" di Abbey House, si è celebrata la veglia di Pentecoste. La lode della Comunità per i doni dello Spirito si è tenuta in due momenti: la Celebrazione della Parola con la Commemorazione della Cena del Signore e la benedizione per l'olio e l'unzione per tutti i presenti.



Riportiamo qui sotto il testo integrale dell'omelia

del Rev. mo Abate dom Antonio Perrella

in occasione della veglia di Pentecoste



Testo di riferimento è stata la sequenza Veni Sancte Spiritus


Veni, Sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium.

Vieni, Santo Spirito, e manda dal cielo un raggio della tua luce.


Cari Fratelli e Sorelle, cari Amici ed Amiche,

con queste parole abbiamo invocato, in canto, il dono dello Spirito prima della proclamazione dell’Evangelo, la cui effusione ricordiamo e rinnoviamo in questa solennità di Pentecoste.


Si tratta di un inno che vanta più di mille anni di storia. Sebbene la sua paternità non sia certa, gli studiosi concordano ad attribuirlo a Lotario di Segni (poi papa Innocenzo III) o a Stefano di Langton, arcivescovo di Canterbury. Chiediamoci allora come mai questa incertezza e perché si pensa a questi due possibili autori? Se il testo e la sua diffusione fanno pensare a questi due autori, probabilmente ci deve essere una vicinanza tra i loro scritti ed i loro stili. Se l’attribuzione della paternità oscilla tra loro due devono avere una radice comune. Ed infatti questi due giovani si formarono nello stesso periodo (XII secolo), a Parigi, alla scuola di Pietro Cantore, uno dei teologi più fecondi del medioevo, ma anche dei più innovativi. Cantore voleva che lo studio della teologia si fondasse su tre capisaldi: la Bibbia (la lectio), la disputatio (cioè la capacità di suscitare domande per cercare risposte) e la praedicatio (perché la verità va annunciata e donata a tutti). Si trattava di un approccio rivoluzionario in quell’epoca in cui la teologia si basava sulle sentenze dei maestri e sulle affermazioni del Magistero. Rimettere al centro e all’inizio della teologia la Bibbia, la Scrittura era davvero un fatto nuovo. Ritenere che la lettura della Parola di Dio dovesse suscitare domande, cioè stimolare la capacità critica, era davvero innovativo in un’epoca in cui si riteneva che la fede fosse aderire ciecamente all’insegnamento ecclesiastico. Ed infine legare la teologia alla predicazione, le dava una dimensione evangelizzatrice e pastorale, davvero nuova rispetto alla sua dimensione accademica così dominante. Cantore, nella sua opera Verbum abbreviatum, scrive: «La predicazione, che abbia come fondamento la prima [cioè la lectio della Scrittura], è come il tetto che protegge la fede dalla calura e dal vento della tentazione. La predicazione, quindi, deve seguire, non precedere la lettura della sacra Scrittura» (I, 1).


Ma tornando alla questione della paternità della sequenza Veni Sancte Spiritus, in ultima analisi gli studiosi propendono più per un attribuzione a Langton di Canterbury. Al di là di questo, però, in questo antico Inno ritroviamo proprio le dinamiche della scuola di Pietro Cantore ed è per questo che in questa sede abbiamo sfiorato la sua conoscenza.


È molto interessante per noi, che come Cantore professiamo il primato della Parola, scoprire che in quest’Inno troviamo l’allusione a numerosi temi biblici:

Il primo che possiamo scorgere è il tema della luce (nella prima e quinta terzina) ci riporta al libro della Sapienza (7,26) ed al Sal 42,3. Come non pensare anche al racconto della Pentecoste di At 2,3-4 in cui si parla delle fiammelle come di fuoco che scendono sui discepoli radunati a Gerusalemme. Su questo punto vale la pena sottolineare un particolare del testo. L’Inno chiede allo Spirito di mandare radium, cioè un raggio della sua luce. Fratelli e Sorelle perché l’Inno non chiede i raggi della tua luce o semplicemente la tua luce? Perché tanto gli Atti degli Apostoli tanto l’Inno sanno bene che le manifestazioni dello Spirito sono molteplici, che ognuno riceve un dono dello Spirito e che egli è vivificante perché dona a ciascuno un carisma, ma solo la totalità e l’insieme di essi sono la manifestazione della sua pienezza. Ancora una volta la sapienza biblica ci mostra che soltanto l’unione delle diversità, quella che don Tonino Bello chiamava il convivio delle differenze, può manifestare Dio che difficilmente si lascia dire dalla omologazione.


L’Inno, infatti, fa riferimento al tema dei doni molteplici dello Spirito, nella II, IX e X terzina. Vi ritroviamo un’allusione all’elenco dei doni dello Spirito presente in Gal 5,22-23 ed ai sette doni del Messia in Is 11,2-3. Celebrare la Pentecoste, cari fratelli e sorelle, significa accogliere il dono dello Spirito che ci fa entrare nella terra promessa dell’era messianica. I doni dello Spirito sono l’anticipazione del giorno in cui Dio sarà tutto in tutti e la sua gloria si manifesterà in ogni vita, in ogni uomo e donna. I differenti carismi – con cui lo Spirito di Dio arricchisce la Chiesa e la rende bella e splendente – sono la profezia della umanità nuova, quella in cui l’elemento pneumatico (spirituale) sarà preponderante su quello corporeo, fisico. Allora ogni essere vivente risplenderà della gloria stessa di Dio e sul suo volto e sulla sua umanità sfolgorerà la umanità nuova di Gesù stesso. Chi di noi si apre allo Spirito e lo lascia regnare nella sua vita, già vive in quella gloria ed in quello splendore, che non sono da attendere soltanto come qualcosa che ha da venire, ma che sono da accogliere come già iniziati, ora. Sì, nello Spirito, noi siamo già entrati nella gloria del Signore. L’esistenza, la vita monastica, in fondo, è proprio la profezia di questo tempo messianico ed escatologico che ha già messo radici nella storia di oggi.


Un ulteriore tema che ricorre nella Sequenza che abbiamo cantato è quella della inabitazione che consola. Di essa si parla soprattutto nella III e IV strofa. La radice del tema è sempre quella biblica. Vi si scorge l’eco di At 9,31 (la Chiesa cresceva e camminava […] colma del conforto dello Spirito Santo), Gv 14,16 (il Padre vi darà un altro consolatore perché rimanga sempre con voi per sempre) e Rm 8,11 (per mezzo dello Spirito Santo che abita in voi). L’esperienza credente, la vita di fede è esperienza della presenza di Dio. Dio è presente non perché sta dinanzi a noi o sopra di noi, ma perché ha scelto, si è degnato di abitare in noi. È da questa presenza, da questa inabitazione che nasce la consolazione. La consolazione cristiana non è a buon mercato; non è quella di chi dice: “verranno tempi migliori”. La consolazione cristiana è una solida certezza che si basa sulla presenza costante di Dio nella nostra vita, nonostante il mondo, nonostante le vicende, nonostante il giudizio nostro ed altrui. Egli sta in noi e vi rimane per sempre.


Un altro tema, presente nel Veni Sancte Spiritus, che poi è anche un effetto,un dono dello Spirito, è quello del perdono dei peccati, richiamato nella VII ed VIII strofa. Anche in questo caso la terminologia usata rimanda a riferimenti biblici: Ez 37,14 (farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete); At 2,38 (e Pietro disse: “pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati; dopo ricevete il dono dello Spirito Santo”). Il riferimento veterotestamentario al profeta Ezechiele, ci dice che solo dove c’è, abita ed agisce lo Spirito c’è la vita! Spesso le persone si illudono di vivere una vita piena e soddisfacente senza Dio. Sembra quasi che l’umanità sia caduta nella mortifera illusione che amare e servire Dio privi della gioia e della pienezza della vita. Invece, no! No! È esattamente il contrario! Solo Dio ci svela il senso della vita e solo trovando il senso vero della vita, noi la viviamo nella gioia! Mettere Dio da parte o metterlo tra parentesi, cioè vivendo con un vago senso religioso e senza un reale, concreto, quotidiano cammino di fede, significa condannarsi a non comprendere il senso ultimo dell’esistenza. Le parole di Pietro poi, riportate nel testo di Atti, confermano proprio questa verità: riceve lo Spirito, chi si converte, cioè chi ha il coraggio di fare una inversione ad “U” nella propria esistenza e passa dall’anonimato e dalla insensatezza di una esistenza senza Dio alla pienezza di significato e di valore di una vita spesa nel discepolato.


Un ultimo dono che lo Spirito porta con sé viene indicato dalla VI strofa: Dio ci assiste nella nostra debolezza. In Rm 8,26-27 Paolo afferma: allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili. In Gv 15,5 era stato Gesù stesso a ricordarci: senza di me non potete fare nulla. 1 Cor 12,3 (nessuno può dire “Gesù è il Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo), infine, ci ricorda che anche la stessa professione della fede è dono dello Spirito.

Ce lo ricorda la preghiera liturgica, che nella colletta della XVII domenica del tempo ordinario ci fa dire, rivolti a Dio: senza di te nulla esiste di valido e di santo. Cari fratelli e sorelle, accogliere il dono dello Spirito non significa diventare super-uomini o super-donne. Significa, invece, permettere alla santità di Dio di abitare la nostra fragilità per usarla come strumento della sua grazia. Dio ha sempre agito nella fragilità: si è manifestato nel mormorio del silenzio ad Elia, ha scelto il poco credibile Mosè – che era stato oppressore – per liberare il popolo oppresso; si è donato a noi nella umanità, crocifissa e sconfitta, del suo Figlio; ha iniziato l’opera della salvezza con uno sparuto gruppo di discepoli impauriti, sebbene avessero visto il Risorto con i loro stessi occhi.


Cari fratelli e sorelle, cari Amici, il senso della nostra Comunità, come quello di ogni famiglia monastica, è quello di cercare Dio e far nascere nel cuore di tutti la nostalgia di Dio. Come diceva efficacemente Agostino: il nostro cuore è inquieto fin quando non riposa in Dio. In questa festa di Pentecoste apriamo realmente il nostro cuore al dono dello Spirito, unico capace di fare nuove tutte le cose: Egli ci sveglia dal torpore della nostra illusione di vivere senza Dio, Egli trasforma le tenebre del peccato nella luce della santità, Egli cambia la debolezza delle nostre insensatezze nella forza della verità luminosa.


Veni, Sancte Spiritus, et emitte caelitus lucis tuae radium.

Vieni, Santo Spirito, e manda dal cielo un raggio della tua luce. Amen!


dom Tonino +



Qui sotto qualche scatto della celebrazione



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PAX

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